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La verità di Matteo Salvini su Open Arms: "Ho difeso l'Italia"

Dario Martini
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Non capita tutti i giorni di vedere un vicepresidente del Consiglio in carica sul banco degli imputati mentre risponde alle raffiche di domande di avvocati e pm. Anzi, non accade praticamente mai. Soprattutto se il vicepremier in questione è chiamato a difendersi per le politiche messe in atto dal governo di cui faceva parte quando era ministro dell’Interno. Ieri mattina Matteo Salvini, accompagnato dall’avvocato Giulia Bongiorno, ha fornito risposte dettagliate per circa tre ore nell’aula bunker dell’Ucciardone di Palermo dove si celebra il processo che lo vede imputato per sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per aver ritardato lo sbarco di 147 migranti dalla nave della Ong Open Arms nell’agosto del 2019.

 

Salvini fornisce dati su dati, ripercorre quei giorni di oltre quattro anni fa leggendo documenti ufficiali e ricordando colloqui e telefonate con gli altri ministri. Ma soprattutto sottolinea di aver agito «coscientemente» per «la difesa della sicurezza nazionale» e per salvare «la dignità del Paese». Poi smonta una per una le accuse che gli vengono mosse. «Tra il 2018 e il 2019» le politiche migratorie dell’allora esecutivo giallo-verde (M5S-Lega), «erano condivise da tutto il governo», ricorda, non solo con il premier Giuseppe Conte ma anche con i ministri grillini Elisabetta Trenta (Difesa) e Danilo Toninelli (Trasporti e Infrastrutture). Questa strategia rese possibile il fatto che «non ci furono morti in mare», mentre «gli sbarchi si ridussero del 90%», cosa «mai più accaduta né prima né dopo».

 

La sintonia con gli altri componenti dell’esecutivo emerge anche da un altro episodio. Il leader della Lega lo definisce un «passaggio significativo». È quello che riguarda due post pubblicati da Toninelli il 18 agosto 2019, due giorni prima che i migranti scendessero nel porto di Lampedusa su ordine della Procura di Agrigento. «Un Paese che permette ad una nave di alzare la propria bandiera non può girarsi dall’altra parte. Ringrazio la Spagna che ha fornito un porto alla nave. La guardia costiera fornirà tutto il supporto. Non andare in Spagna sarebbe incomprensibile», scrisse l’ex ministro grillino. Peccato che Open Arms rifiutò. Allorché Toninelli, il giorno dopo, scrisse «che la decisione della Ong di non andare in Spagna è incomprensibile e viene il sospetto che ci sia malafede. Siamo disponibili noi a portare tutti i migranti in Spagna».

Uno dei punti principali della difesa di Salvini, emerso durante le sue dichiarazioni spontanee prima dell’interrogatorio vero e proprio, consiste nella linea di condotta del primo governo Conte, normata e codificata chiaramente: la concessione del «porto sicuro» alla Ong di turno doveva avvenire solo dopo il raggiungimento di un accordo di redistribuzione dei migranti con gli altri Stati europei. «Prima la redistribuzione, poi lo sbarco, era la posizione del governo italiano», ribadisce più volte Salvini. Un momento di tensione si registra quando l’avvocato Daniela Ciancimino, legale della parte civile Legambiente, si alza nel corso delle dichiarazioni spontanee per dire: «L’imputato sta anticipando l’esame». Ma viene interrotta dall’avvocato Bongiorno: «Non si possono interrompere le dichiarazioni spontanee». Stesso concetto ribadito dal presidente del collegio Roberto Murgia.

Uno dei momenti chiave è quando Murgia chiede esplicitamente a Salvini se fosse a conoscenza di particolari problemi sanitari a bordo della nave. «Quando c’erano situazioni sanitarie particolari non ci siamo mai rifiutati di fare sbarcare dei migranti - è la risposta di Salvini - Nel caso Open Arms, io ero continuamente rassicurato sul fatto che non ci fossero emergenze a bordo. Lo sbarco da lì a breve ci sarebbe stato». Il vicepremier sottolinea come i minori presenti a bordo furono fatti immediatamente scendere non appena furono nominati i tutori e di «non aver mai vietato lo sbarco di un minore in nessuno dei 631 sbarchi» avvenuti durante il suo mandato al Viminale. Interessante è anche il passaggio in cui Salvini ricorda come apprese dei fatti oggetto del processo. «Fu il capo di gabinetto Piantedosi a dirmi della presenza della Ong in mare: la storia precedente ci diceva che avrebbero provato a dirigersi in Italia, ebbi un sospetto che si trattasse di un caso di immigrazione clandestina perché l’allora comandante era stato rinviato a giudizio per il suddetto reato, cosa che mi fu comunicata prima di emanare il divieto d’ingresso. Il passaggio della nave nonostante il divieto è stato valutato come un’offesa verso l’Italia». Il rapporto continuo con Piantedosi, attuale ministro dell’Interno che il 16 febbraio sarà sentito come teste della difesa, emerge chiaramente dall’interrogatorio. È a questo punto che il procuratore aggiunto Marzia Sabella gli chiede se fosse a conoscenza di terroristi a bordo. La risposta è un secco «no», ma il solo fatto che la nave di una Ong contravvenisse al divieto di entrare nelle acque territoriali italiane era considerato automaticamente un atto «offensivo». 

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