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Silvio Berlusconi è morto al San Raffaele di Milano

Pietro De Leo
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Silvio Berlusconi è morto all'ospedale San Raffaele di Milano. Il Cavaliere aveva 86 anni. Se n’è andato e c’è una generazione orfana. La generazione dei “nativi” berlusconiani di quelli che ne hanno assorbito l’impatto nella storia, nel costume, nel senso comune, nella politica del nostro Paese. Una “Berlusconi generation”, azzeccata espressione del compianto don Gianni Baget Bozzo, intellettuale crudo e intelligente tra i levatori di Forza Italia. Una Berlusconi generation di consenso, e, udite udite, anche di dissenso. Chi è stato permeato di berlusconismo nel pro e nell’anti. E non riesce a capire un mondo senza. Perché non l’ha mai vissuto. Chi è cresciuto con i cartoni animati di Fininvest, chi si è imbevuto d’America nelle mattinate a casa con l’influenza, quando Italia Uno dava a ripetizione i telefilm che hanno portato in Italia un respiro di stelle e strisce. Chips e Hazzard, A-Team e Starsky e Hutch. Il bene contro il male. L’epopea berlusconiana in tutte le sue sfaccettature è stata, riassumendo, quella: una rincorsa forsennata di quell’inesauribile incontro di boxe tra un “noi e un loro”. Nella Tv, appunto. Nello sport, chiaramente (non c’è nulla di più manicheo di una partita di calcio) Anche in politica. Riascoltare, per vedere, il mitologico discorso della discesa in campo. “Guardateli, non credono più in niente”, diceva Berlusconi, rivolto fisso alla telecamera, parlando al cuore degli italiani. Che, in quel momento, assistevano al trionfo di un grande racconto politico nazionalpopolare. L’imprenditore che lascia un’avventura per abbracciarne un’altra. In questo enorme “noi contro loro” si costruiva l’enorme profilo di un leader che, da politico, diventava “sociale”. Quello del berlusconismo diventava un popolo, che prim’ancora di internet ne assorbiva ritualità, pose e cliché. I fan in cravatta a pois, i gadget di Forza Italia nel grande recinto del partito. A casa, la sciura Maria che ne difendeva l’onorabilità dagli accanimenti giudiziari a qualsiasi costo. Così come il signor Antonio, al mercato o al bar, nelle logorroiche dispute sull’origine dei soldi, la portata delle scelte, gli sgambetti degli alleati e le guerre termonucleari degli avversari a botte, oltreché di inchieste, anche di programmi televisivi, giornali, manifestazioni, libri, film, spettacoli teatrali. Oppure infinite parole dedicate al tema nelle assemblee studentesche.  Questo, è stato, il berlusconismo generale. Un propellente all’esercizio della nostra coscienza collettiva. Che è stata la grande vittoria di Silvio Berlusconi. Un uomo che, proprio per questo, è stato infinitamente più grande dei suoi errori, uno su tutti, la mancata futuribilità (forse mai veramente voluta) ad un progetto politico legato esclusivamente al uno cognome. Per questo motivo, anche gli antiberlusconiani, in realtà, sono stati berlusconiani a propria insaputa, perchè ne hanno alimentato la presa nel Paese. C’è da credere che, nella genialità dell’uomo, pur nelle angustia derivanti dal non piacere a tutti, nel suo intimo si sia anche beato di quell’ostilità che era un concime necessario, per quanto sgradevole come tutti i concimi, per aumentare d’intensità il sentimento di quanti gli volevano bene. Per questo, anche quando, negli ultimi dieci anni della sua vita, ha progressivamente perso la primazia nel quadro politico (ma non la primissima fila) c’era sempre quell’istinto, quella domanda spontanea che riconduceva a lui, al “chissà cosa pensa Berlusconi”, chissà cosa fa, chissà dove sta. Nei momenti di inabissamento mediatico, o di solo apparente marginalità politica. La domanda sul “cosa sarebbe accaduto con lui” ruotava in molte situazioni. Una su tutte: con l’invasione russa in Ucraina. Cosa sarebbe accaduto se ci fosse stato al governo lui, che già fece desistere Putin una volta, nel 2008, dalle intenzioni di invadere la Georgia?Come Salinger, la sua presenza era anche nell’assenza. E ora che quell’assenza si è fatta perpetua, rimarrà nell’iconografia. Un continuo intreccio di alto e basso, di aulico e popolare. Di incomprensibile se non a menti più eccelse e di masticabile dai palati più dozzinale.

Il Berlusconi di Pratica di Mare, che segna il punto più efficace di addomesticamento geopolitico della Russia di Putin. Il Berlusconi che parla al Congresso Americano. Il Berlusconi che vince nel 1994 contro tutti i pronostici, che quasi vince nel 200contro tutti i pronostici. Il Berlusconi che macina i giorni nell’emergenza dopo il terremoto de L’Aquila nel 2009, che sfida la platea ostile di Confindustria nel 2006. E ancora il Berlusconi del predellino, dei suoi innumerevoli malori, della statuetta pigliata in faccia nel 2009. Ma anche il Berlusconi delle cene eleganti, dell’enorme attrazione per le donne, della ricchezza monarchica, degli slanci di generosità. Il Berlusconi che miracola schiere di mediocri e che sfida poteri più grandi di lui. Magneti attaccati  alla rinfusa, idealmente, sul frigorifero della nostra memoria, e, per qualcuno, anche del nostro cuore. Non sappiamo come sarà il mondo e il giorno senza Silvio. E, per certi aspetti, tremano i polsi solo a immaginarlo. Rincuora il fatto che, molto di lui, è rimasto e rimarrà qui. Per fortuna.

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