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Migranti, dai criminali il nuovo racket dei ricollocamenti

Dario Martini
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Se i partner europei dell’Italia si sono sempre rifiutati di accogliere i migranti sbarcati in Sicilia e Calabria, c’era qualcun altro che garantiva i ricollocamenti dal nostro Paese al resto d’Europa. Una rete criminale di trafficanti di essere umani che faceva uscire gli immigrati dai centri d’accoglienza e li portava clandestinamente nel resto del continente, soprattutto in Francia e Germania. A porre fine a tutto ciò sono stati i carabinieri di Reggio Calabria coordinati dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia. A dimostrazione che il problema dei flussi migratori illegali non è solo italiano ma riguarda tutto il continente. L’operazione Parepidêmos è stata possibile grazie alla collaborazione degli investigatori tedeschi (il direttorato per la lotta al crimine della Bundespolizei) e francesi (la Police Nationale, le Brigate Mobili di ricerca della Direzione Centrale della Polizia di frontiera di Bordeaux e Marsiglia). Gli arrestati, per cui è scattata la custodia cautelare in carcere, sono quattro, tutti afghani. Il primo è Yawar Mohammad Younos, considerato dagli inquirenti come il promotore, organizzatore e autista del gruppo. Il secondo uomo è l’intermediario, colui che avrebbe fatto da tramite tra l’autista e i parenti dei migranti.<ET>Il terzo, con base a Marsiglia, era l’addetto al covo in Francia. Il quarto, scovato a Francoforte in Germania, era il terminale del viaggio e addetto alla riscossione.

Ecco come funzionava. I migranti sbarcavano sulle coste calabresi, in particolare sul versante ionico. Venivano accolti dalle autorità italiane e posti in «isolamento fiduciario» presso i centri di contenimento sanitario temporaneo. Siamo, infatti, nel 2020, quando era da poco scoppiata la pandemia. A quel punto, la cellula criminale entrava in azione. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, i migranti venivano fatti uscire e caricati sui furgoni, nascosti in appositi "vani" ricavati nella parte posteriore. Partenza da Bova Marina, in provincia di Reggio. Prima tappa: Abruzzo. Poi dritti verso verso nord: Lombardia e poi Liguria. Ultima tappa italiana il Piemonte, con il passaggio del confine attraverso il Frejus. Il viaggio era tutt’altro che tranquillo, con i migranti che venivano lasciati per giorni al freddo in alta montagna senza acqua né cibo. L’autista, infatti, prima di proseguire voleva essere lautamente pagato. È quanto emerge dall’ordinanza del gip. Scrive il giudice: «Erano in aree montuose, privi di adeguato equipaggiamento e viveri: hanno dovuto affrontare, anche con minori e neonati, zone impervie, in inaccettabili condizioni climatiche». Per il gip, si tratta di persone senza alcun senso di pietà. Emblematica un’intercettazione tra la mente del gruppo e un parente dei migranti. A parlare è quest’ultimo: «Senti fratello, noi ci siamo messi d’accordo per Francoforte non per l’Italia. Tu li hai distrutti, li hai lasciati sulla montagna, ma sei pazzo? Ubriaco? Che cosa sei ? E vuoi i soldi...»). Il trafficante, infatti, ha abbandonato i migranti perché prima vuole essere pagato. Ecco la sua risposta: «Senti fratello, così mi fai arrabbiare perché io ho già speso i soldi, ho fatto la benzina, prima tu manda 1.300 euro nel conto di mio cugino adesso, ti invio il suo numero, ma adesso che li prendo, dove li accompagno? Dimmi tu?»). L’altro replica: «Fratello, tu sei in macchina e quanto sei stanco. Immagina loro dalle 6 di mattina che camminano. Non hanno nemmeno acqua, sono affamati. La strada è pericolosa. Secondo te si devono mettere in pericolo?». Niente da fare, l’indagato ribatte: «Io voglio solo i miei soldi».
 

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