Open Arms, il comandante del sottomarino Venuti: "Perché seguimmo la nave Ong"
Una testimonianza importante che depone a favore di Matteo Salvini, tanto che Open Arms ha depositato una querela per omissione di soccorso nei confronti dell'equipaggio del sottomarino Venuti che ha documentato le manovre della nave Ong. «Copiamo quello che accade sulla superficie in maniera discontinua perché il sommergibile è un mezzo occulto e solo quando è in quota periscopica alza antenne e periscopio per brevi lassi di tempo. Il sottomarino non è idoneo al soccorso, possiamo prestare assistenza a soccorsi indifferibili. L’emersione e l’apertura di portelloni è di per sé un’operazione che può mettere a rischio la sicurezza del battello», ha detto Stefano Oliva, capitano di Corvetta della Marina militare, nel corso della sua testimonianza al processo Open Arms, nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo, dove l’ex ministro dell’Interno è imputato per sequestro di persona e rifiuto d’atti d’ufficio.
Video su questo argomentoSalvini a Palermo per udienza del processo "Open Arms"
«Tutte le informazioni che il sommergibile raccoglie vengono inviate esclusivamente alla centrale operativa sommergibili di Roma - ha sottolineato Oliva -. Ci siamo imbattuti casualmente nell’Open Arms. Nelle 17 ore di monitoraggio abbiamo seguito la barca per 50 miglia. L’abbiamo seguita quando ha cambiato rotta e ha aumentato la velocità. Loro erano più veloci, tanto che siamo arrivati sul luogo del soccorso quando erano già iniziate le operazioni di trasbordo».
«Il sottomarino ha semplicemente captato la comunicazione in lingua spagnola e l’abbiamo inviata alla nostra centrale operativa senza alcuna analisi. Gli interlocutori dovevano essere nella linea d’orizzonte per essere captati», ha detto ancora Oliva che ha poi aggiunto: «L’imbarcazione dei migranti era di medie dimensioni, circa 20, 25 metri in legno anche se non ne sono sicuro. Era una barca piena di persone. Abbiamo segnalato alla centrale le operazioni di soccorso della Open Arms. Abbiamo documentato il soccorso con due gommoni veloci».
Il capitano di fregata Andrea Pellegrino, l’ufficiale della Guardia costiera che all’epoca era in ufficio alla Capitaneria di porto e fece poi la relazione su quanto accaduto, ascoltato dai magistrati ha spiegato: «Per quanto di mia diretta conoscenza in nessun momento si parlava di un pericolo imminente» sulla imbarcazione con a 60 migranti a bordo nel Mare Mediterraneo la mattina del primo agosto 2019. «Il comandante non ha segnalato perché non c’era una situazione di pericolo da segnalare, per quanto ho visto dalle immagini, tant’è che nella mia relazione di servizio non si parla di un evento di soccorso ma di trasbordo di migranti, sulla base di valutazioni fatte in loco da chi ha una visione diretta del fatto».