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Naufragio Cutro, superstite rivela: soldi agli scafisti anche dopo la strage

Gianni Di Capua
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Sono rimasti vivi per miracolo, quella notte tra il 25 e il 26 febbraio scorso, quando l’imbarcazione su cui si trovavano andò in frantumi davanti alle coste di Steccato di Cutro (Crotone). Alcuni attaccati a un pezzo di legno, altri perché trascinati dalle onde a riva. Un’ottantina di persone sono riuscite a salvarsi, mentre altre cento almeno sono morte annegate. Finora sono 88 le vittime accertate, e altre 20 circa disperse. Tra loro tanti bambini. Adesso si scopre, stando al racconto di un superstite, che i familiari dei sopravvissuti, dopo il loro arrivo, avrebbero pagato lo stesso il viaggio ai trafficanti di esseri umani. Dopo la strage.

 

Non si sa se tutta la somma o il saldo. A dirlo, ascoltato ieri mattina dalla gip del Tribunale dei minori di Catanzaro, nell’incidente probatorio del procedimento a carico del presunto scafista minorenne pakistano, è Kabiry, un giovane sopravvissuto al naufragio. «I familiari hanno fatto visita alle persone superstiti nel centro di Sant’Anna. Hanno fatto le foto e così i trafficanti hanno saputo chi era vivo», ha raccontato il ragazzo, come scrive l’agenzia Adnkronos, nell’udienza che si è tenuta a porte chiuse. «Per la traversata in mare ho pagato la somma di 8.300 euro» e i trafficanti «li avrebbero ricevuti tramite money transfer», ha poi spiegato. Dunque, adesso gli inquirenti tenteranno di capire se anche i superstiti hanno pagato il saldo della traversata. «Sulla barca ci hanno preso i telefoni - racconta ancora il ragazzo - Sulla seconda barca eravamo tutti sottocoperta. Era vecchia. Potevamo salire sopra solo per prendere una boccata d’aria. Eravamo stretti, non c’era posto per sederci tutti».

 

Il giovane superstite racconta ancora al gip come erano le condizioni del mare durante la traversata: «Fino al 25 febbraio il mare è stato calmo, poi ha cominciato ad agitarsi. Ci siamo spaventati. Ho capito di essere arrivato nelle acque italiane perché ce lo hanno detto le persone che si occupavano della barca, che ci hanno ridato i telefoni. Era notte». «Poi abbiamo visto le luci della costa, dopo un giorno- ricorda ancora- Eravamo in ritardo ma già prima di partire sapevo che le condizioni sarebbero peggiorate. Le onde erano molto alte, eravamo agitati ma gli scafisti ci rassicuravano dicendo che eravamo quasi arrivati. La barca andava veloce». Poi il racconto arriva al momento del naufragio: «La notte del 25, quando il mare era molto agitato dicevamo agli scafisti di non ritardare. Perché la barca aveva rallentato di giorno in quanto gli scafisti volevano arrivare di notte. L’ultima notte il mare era ancora più agitato. Anche quando ci hanno ridato i telefoni non avevamo linea perché c’era un jammer. Se avessi avuto linea avrei chiamato i soccorsi. Non li hanno chiamati neppure vicino alla costa non li hanno voluti chiamare». «Le condizioni del mare alla fine erano peggiorate così tanto che gli scafisti ci hanno permesso di salire sopra - ha poi detto alla gip Avevamo indossato gli zaini.

 

Gli scafisti puntavano verso la spiaggia, ma hanno visto delle luci a terra e hanno pensato che fosse la polizia. Hanno fatto manovra repentina per scappare. Le onde alte hanno fatto inclinare la barca, poi è avvenuto l’urto. Gli scafisti hanno buttato in acqua un tender, io non l’ho visto me l’ha detto un amico». «Ho nuotato 20/30 minuti prima di arrivare a riva. A terra c’erano i carabinieri. Nessuno mi ha aiuto. I carabinieri accompagnavano le persone che uscivano all’acqua a sedere». Intanto Frontex accusa l’Italia di non essere intervenuta per salvare i migranti. «Noi abbiamo condiviso con il Centro di coordinamentio in temporeale le immagini che vedevamo: un’imbarcazione che in quel momento non era in pericolo ma che sollevava interrogativi - ha dichiarato il direttore esecutivo di Frontex, Hans Leijtens, in audizione alla commissione Libe al Parlamento europeo - Poteva trattarsi sia di un’operazione per migranti che di polizia. Tutto il resto era una decisione che spettava alle autorità italiane». 

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