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Inchiesta Covid, la Procura di Bergamo accusa Conte e Speranza

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La "zona rossa" in Val Seriana e ad Alzano Lombardo e Nembro a fine febbraio 2020 e l'attuazione del piano pandemico - sebbene non aggiornato - avrebbe risparmiato la vita a oltre 4mila persone e si sarebbe evitata "la diffusione incontrollata" del virus. Dopo tre anni la Procura di Bergamo chiude la 'madre' di tutte le inchieste giudiziarie sul Covid. Novantanove le persone offese - parenti delle vittime - 19 gli indagati con tutti i nomi-chiave della gestione pandemica: gli ex presidente del consiglio e ministro della Sanità, Giuseppe Conte e Roberto Speranza (per i quali si procede separatamente davanti al tribunale dei Ministri), il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana, l'allora assessore Giulio Gallera, i membri del Comitato tecnico scientifico (Cts), gli allora vertici di protezione civile, sanità italiana, lombarda e bergamasca. Sono accusati a vario titolo di epidemia colposa, omicidio colposo, abuso e rifiuto d'atti d'ufficio, falso ideologico e materiale, lesioni.

Per il procuratore capo di Bergamo, Antonio Chiappani, l'aggiunto Maria Cristina Rota e i sostituti procuratori Emma Vittorio, Guido Schinina, Paolo Mandurino e Silvia Marchina, che hanno coordinato l'indagine della Guardia di Finanza, quello che è accaduto è un lungo elenco di omissioni, sottovalutazioni, falsità incrociate. Conte-Speranza e Fontana-Gallera devono rispondere di omicidio colposo commesso in "violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro" perché in "cooperazione colposa" tra loro e con i membri del Cts avrebbero "cagionato per colpa la morte" di 57 persone, vittime del Covid fra il 26 febbraio e il 5 maggio 2020.

Per i magistrati, che hanno affidato una maxi perizia al professor Andrea Crisanti oggi senatore del Partito democratico, la zona rossa già dal 27 febbraio avrebbe salvato la vita a "4.148 persone" nella Provincia di Bergamo, di cui 55 ad Alzano e 108 a Nembro. A livello nazionale viene contestato il censimento dei reparti di malattie infettive e la disponibilità di ventilatori polmonari soltanto dal 24 febbraio, due mesi dopo il primo alert dell'Organizzazione mondiale della sanità. 

Per gli inquirenti il governatore della Lombardia non avrebbe invece segnalato "alcuna criticità" sulla "diffusione del contagio" in due mail del 27 e 28 febbraio 2020 inviate a Conte nelle quali richiedeva "il sostanziale mantenimento delle misure di contenimento già vigenti in Regione Lombardia". Gli esperti del Cts sarebbero comunque stati a conoscenza dal 28 febbraio dello "scenario più catastrofico per l'impatto sul sistema sanitario e sull'occupazione delle terapie intensive". Inoltre, per la procura il presidente dell'Istituto superiore di sanità e portavoce del Cts, Silvio Brusaferro avrebbe impedito "l'adozione tempestiva delle misure" del piano pandemico 2006 proponendo "azioni alternative".

L'allora capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, si sarebbe macchiato di omissioni sui "protocolli di sorveglianza per i viaggiatori" limitandola "solo ai voli diretti per l'Italia" dalla Cina nonostante il Piano raccomandasse il contrario. In Lombardia inoltre Gallera e l'ex dg Welfare lombardo, Luigi Cajazzo, avrebbero contribuito alla "diffusione incontrollata" del Sars Cov 2 nel "non censire e monitorare i posti letto nelle Unità Operative di malattie infettive" e omettendo di verificare "la dotazione di DPI".

Allo stesso tempo i due ricevettero informazioni "false" dal Dg e il Direttore sanitario dell'Asst Bergamo est, Francesco Locati e Roberto Cosentina, sulla situazione del Pronto Soccorso Pesenti-Fenaroli di Alzano Lombardo chiuso e poi riaperto il 23 febbraio. Per i pm è falso che tutti i pazienti e operatori sanitari venissero sottoposti a tampone o che si fosse "provveduto alla sanificazione degli ambienti".

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