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Governo, Regione e Iss: oltre venti indagati per la pandemia a Bergamo

Antonio Sbraga
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 Epidemia colposa». Sono una ventina gli indagati per il «giallo» sulla mancata zona rossa nella prima provincia più colpita dal Covid, Bergamo, e sul mancato aggiornamento del piano pandemico. Tutti i vertici politico-sanitari, sia a livello nazionale che regionale, figurano ora indagati 3 anni dopo dalla Procura di Bergamo: l’ex premier Giuseppe Conte, l’ex ministro della Salute, Roberto Speranza, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, e l’ex assessore al Welfare, Giulio Gallera. Nell’atto che chiude le indagini figurano anche il presidente dell'Istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro, il coordinatore del primo Comitato tecnico scientifico, Agostino Miozzo, l'allora capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli, il presidente del Consiglio superiore di Sanità, Franco Locatelli e Francesco Maraglino, ex direttore dell'Ufficio 5- Prevenzione delle Malattie trasmissibili e Profilassi internazionale. Secondo i pm bergamaschi, infatti, «il disastro si sarebbe potuto evitare».

 

Sono 3 i filoni dell’inchiesta che, proprio 3 anni dopo l’inizio della pandemia, hanno portato ieri il procuratore aggiunto di Bergamo, Cristina Rota, con i sostituti Silvia Marchina e Paolo Mandurino, sotto la super visione del procuratore Antonio Chiappani, a tirare le somme di una indagine con cui si è cercato di far luce e individuare le responsabilità, eventuali o meno, di quella tragedia che ha lasciato una profonda ferita nell’intera penisola. Secondo l’ipotesi accusatoria sarebbe stata, dunque, una «epidemia colposa» quella che, nella primavera del 2020, riempì più di 3mila bare in provincia di Bergamo, portate via da quell’incancellabile processione di camion militari. Gli avvisi di conclusione dell'indagine con le ipotesi di reato anche per omicidio colposo plurimo e rifiuto di atti d'ufficio sono in via di notifica ai vari indagati, di cui ora sono noti solo alcuni nomi (le posizioni dell’ex premier Conte e dell’ex ministro Speranza saranno trasmesse al Tribunale dei ministri, che dovrà valutare gli atti a loro carico). Gli accertamenti compiuti dalla procura bergamasca si sono avvalsi di una maxi consulenza firmata da Andrea Crisanti, microbiologo dell'Università di Padova e ora senatore del Pd, che hanno riguardato tre livelli, uno strettamente locale, uno regionale e il terzo nazionale.

 

Nel mirino degli inquirenti e degli investigatori della Guardia di Finanza sono finiti non solo i morti nelle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) della Val Seriana e il caso dell'ospedale di Alzano (chiuso e riaperto nel giro di poche ore). Nei faldoni dell’inchiesta ci sono soprattutto gli accertamenti sulla mancata istituzione di una zona rossa uguale a quella disposta nel Lodigiano e i mancati aggiornamenti del piano pandemico, fermo al 2006. Ma, secondo gli inquirenti, già con la sola applicazione del Piano esistente, anche se datato, stando agli elementi raccolti si sarebbe potuto contenere la trasmissione del Covid. Debordata, invece, tra la fine di febbraio 2020 e l’aprile di quell’annus horribilis: nella Bergamasca l’eccesso di mortalità finì per essere di ben 6.200 persone rispetto alla media dello stesso periodo degli anni precedenti. Un’enormità già sottolineata dal procuratore Chiappani nella sua relazione, pronunciata a fine gennaio, per l’apertura dell’anno giudiziario. Nella quale si può già capire la portata dell’indagine che ha «accertato gravi omissioni da parte delle autorità sanitarie, nella valutazione dei rischi epidemici e nella gestione della prima fase della pandemia». Ossia in quella maledetta primavera del 2020, quando «il Covid ha cagionato oltre 3mila vittime». Ed ora, come ha sottolineato il procuratore nella relazione, «l’inchiesta vuole capire come sia stata la gestione della prima ondata». 

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