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Matteo Messina Denaro, in cella al 41 bis nel carcere dell'Aquila

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Carcere al 41 bis e prima cartella clinica per il boss Matteo Messina Denaro che verrà curato all’interno dell’istituto penitenziario dell’Aquila. Arrestato in una clinica privata a Palermo, il boss latitante per 30 anni è giunto in Abruzzo con un volo dell’aeronautica militare ed è stato trasportato con un aereo C130 atterrato all’aeroporto di Pescara. È stato trasferito poi al carcere dell’Aquila dove dei 160 detenuti, circa 140 sono al 41 bis e c’è l’unica sezione femminile italiana per il "carcere duro". «Sale riservate, preparate ad hoc per chi è isolato. Una struttura davvero efficiente con personale di polizia penitenziaria professionale e anche selezionato», lo ha descritto il segretario generale del Sindacato autonomo polizia penitenziaria (Sappe), Donato Capece. Nell’istituto detentivo si contano un centinaio di uomini del Gruppo operativo mobile (Gom) e circa 17 agenti di polizia penitenziaria operativi per la popolazione carceraria. Il boss è in regime di alta sicurezza, con sorveglianza a vista. Nei prossimi giorni, forse già mercoledì, è previsto l’interrogatorio di garanzia.

La struttura penitenziaria è preparata all’assistenza sanitaria da garantire a Messina Denaro, affetto da tumore al colon in forma «abbastanza aggressiva» ha spiegato a LaPresse il garante dei detenuti, Gianmarco Cifaldi sottolineando che le terapie saranno tutte eseguite nel carcere dal personale medico e dai professori del reparto di oncologia dell’ospedale San Salvatore e dell’Università dell’Aquila. «Si sta provvedendo perché possa essere seguito con attenzione in una stanza adibita per questa necessità», ha detto il garante. In carcere è stata redatta anche la prima cartella clinica del boss mafioso.

Messina Denaro, latitante da 30 anni, viveva nascosto e sotto falso nome. La prenotazione per il trattamento in clinica a Palermo era registrata a nome di Andrea Bonafede e la cartella clinica era quindi riferita a quest’ultimo. Si tratta di un documento individuale che raccoglie le informazioni personali anagrafiche e cliniche significative, relative a singoli episodi di ricovero, necessarie a rilevare un percorso diagnostico-terapeutico e determinare le giuste cure da somministrare. «E' stato fatto un consulto con medici specialistici per seguire la posologia terapeutica - ha aggiunto Cifaldi - Non avendo uno storico del detenuto sanitario, non avendola il medico di base e quello che lo stava seguendo, non ce l’hanno il medico della Asl e del carcere: dobbiamo quindi ricostruirla sia con l’anamnesi sia con gli accertamenti», ha continuato il garante rimarcando che bisogna capire se i medicinali siano quelli giusti o se sia allergico a qualcosa. «Ci può essere anche un medicinale molto aggressivo che può creare reazioni allergiche e si deve scongiurare questo tipo di cose», ha concluso.

Intanto in molti si chiedono quanto avrebbe vissuto Matteo Messina Denaro in un appartamento ben arredato fra decine di altre abitazioni, in mezzo a famiglie e novelle coppie di sposi a due passi da una palestra, due supermercati e un bar se non avesse avuto il cancro. Da più di un anno era il latitante della porta accanto, il vicino di casa cordiale, il cliente affezionato del supermercato. Poche ore dopo la cattura fuori dalla clinica di Palermo i carabinieri del Ros hanno trovato il covo dell’ultimo dei boss corleonesi di Cosa nostra. Hanno incrociato le proprietà di Andrea Bonafede, l’uomo che gli ha letteralmente ceduto l’identità, con i dati dei due telefoni trovati addosso, e con le immagini di una vecchia Alfa Romeo 164 la cui chiave d’accensione era nel borsello della primula rossa. Una triangolazione di dati fulminea che ha portato i carabinieri a Campobello di Mazzara, in un vicolo laterale di via Vittorio Emanuele II. Al piano terra del civico 10 in una palazzina di due piani viveva l’ultimo boss stragista, fra sneakers griffate, vestiti di lusso, un frigorifero pieno di cibo, ricevute di ristoranti, pillole per un «aiutino» sessuale, profilattici, un televisore di ultima generazione e alcuni orologi.

«L’ho comprata con i soldi di Messina Denaro, lo conosco da sempre» ha detto nell’interrogatorio il vero Andrea Bonafede, indagato per associazione mafiosa e favoreggiamento aggravato. L’abitazione risulta intestata a lui e sarebbe stata acquistata alcuni anni fa per la cifra di 20 mila euro. I magistrati della Direzione distrettuale antimafia coordinati dal procuratore aggiunto Paolo Guido hanno indagato anche una seconda persona, il medico di base di Campobello di Mazara, Alfonso Tumbarello, 70 anni, in pensione da fine anno. Per gli inquirenti non poteva non sapere che le prescrizioni di esami specialistici per malati di cancro o di terapie oncologiche che consegnava ad Andrea Bonafede non erano per lui. O peggio che quell'Andrea Bonafede che si stendeva sul lettino non era il geometra che curava da decenni, ma un’altra persona. Matteo Messina Denaro, appunto. La Procura per ora lo ha iscritto solo per favoreggiamento ma la sua situazione è tutt’altro che cristallizzata. L’ultimo tassello del mosaico riguarda Giovanni Luppino, l’autista catturato con il superboss. Il commerciante di olive comparirà davanti al giudice per l’udienza di convalida. Anche per Matteo Messina Denaro, al 41 bis dopo la firma del ministro Nordio, l’appuntamento davanti al gip di Palermo è un momento storico: per la prima volta in 30 anni di processi ha nominato un difensore di fiducia e lo ha scelto nella sua stessa cerchia familiare. Anche se l’incarico non è stato ancora formalizzato, la sua difesa verrà presa dalla nipote Lorenza Guttadauro, la figlia di Filippo Guttadauro e di sua sorella Rosalia Messina Denaro.

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