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Parte il processo a Saviano, insultò Meloni e ora l'accusa di essere "liberticida"

Christian Campigli
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Un processo che sancirà una linea di confine. Uno scontro in aula che si annuncia infuocato e che sancirà, quando verrà letta la sentenza, un prima e un dopo. Perché, indipendemente da come si possa analizzare l'intera vicenda, è indubbio che lo scontro di carte bollate, perizie e valutazioni legali della contesa tra Giorgia Meloni e Roberto Saviano si annuncia estremamente interessante. Si apre infatti oggi il processo a Roma nei confronti dello scrittore campano, accusato di diffamazione nei confronti dell’attuale Presidente del Consiglio. Saviano, durante una puntata della trasmissione televisiva Piazza Pulita dello scorso dicembre 2020 sul tema dei migranti, si era riferito alla leader di Fratelli d'Italia chiamandola “bastarda”.

 

 

Nello specifico, la polemica era scaturita dalla morte di un bambino di sei mesi, originario della Guinea, annegato nel Mediterraneo nel novembre del 2020. Ventiquattro mesi più tardi, il quarantatreenne non aveva avuto alcun pentimento. “Rivendico la mia indignazione e il mio più profondo disprezzo versi chi, di fronte a un naufragio, non dice che le vite umane vengono prima di ogni strumentalizzazione o percorso politico più o meno severo, inflessibile, feroce, da Papeete o da pacchia finita”. L’indagine era stata avviata dopo una querela presentata dalla stessa Meloni e nel novembre dello scorso anno il giudice per l'udienza preliminare di Roma ha disposto il rinvio a giudizio per l'autore di Gomorra. Che questa mattina ha twittato in modo assai polemico sul proprio profilo. “Ringrazio i media stranieri che danno attenzione a ciò che accade in Italia. Un governo liberticida che porta a processo chi critica. Un primo ministro contro uno scrittore, come se avessero uguale peso. Intimidire me per intimidire chiunque critichi l’operato di questo governo”.

 

 

Alla base della contesa c'è un punto essenziale, che determinerà la sentenza finale. Un giornalista, uno scrittore, una persona che svolge un lavoro comunemente definito intellettuale, ha il diritto di poter dire tutto ciò che vuole? Qual è il limite oltre il quale non ci si può spingere? Un tema controverso, perché se da un lato c'è la doverosa libertà di stampa e di espressione, dall'altra c'è l'altrettanto importante dignità personale che non può essere lesa in alcun caso. E da nessuno. 

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