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I tassisti assediano Mario Draghi: città paralizzate e sit-in senza sosta

Camillo Barone
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Col passare del tempo la situazione sembra peggiorare ora dopo ora. Sono passati più di due giorni ormai da quando poco meno di un migliaio di tassisti provenienti da tutta Italia ha bloccato il centro di Roma a via del Corso, con cinque sindacalisti che hanno deciso di incatenarsi notte e giorno alla recinzione di piazza Colonna, proprio di fronte Palazzo Chigi, la sede del governo guidato dal premier Mario Draghi. I blindati della polizia sono all'erta con gli agenti schierati. I cori e gli slogan diventano sempre più assordanti e i pochi turisti rimasti in centro evitano le aree vicine ai disordini, come la Fontana di Trevi e il Pantheon. «La licenza non si tocca», «I tassisti dell'Italia siamo noi», «Draghi non ci venderai», e altri ancora. Esplodono bombe carta e i fumogeni verdi e blu rendono il tutto ancora più confuso.

 

 

Non sono mancate nemmeno risse con feriti tra i tassisti stessi, in particolare tra un gruppo di napoletani oltranzisti contro altri romani e torinesi che hanno provato a sedare il tutto. Nel frattempo una vera e propria assemblea spontanea è nata intorno ai cinque colleghi incatenati. Si discute, si litiga anche ferocemente, ma alla fine si trova una quadra: «Dobbiamo restare qui». I tassisti sono consapevoli di «avere tutti gli occhi del Paese puntati su di noi». Sanno che oggi i riflettori della politica (e non solo) li sta illuminando con l'aumentare della tensione. Poi decretano: «Manteniamo lo stato di agitazione. Non facciamo sfociare il tutto nel caos della violenza, ma restiamo a presidiare Roma fin quando non saremo ascoltati come si deve». E così sarà. Gli incatenati sono rimasti a piazza Colonna anche la scorsa notte, e ci resteranno anche oggi. Il centro è rimasto chiuso e anche oggi sarà inagibile. I vertici dei sindacati hanno chiesto ai lavoratori di restare a presidiare perché tra le 10 e le 15 la commissione delle Attività produttive alla Camera dei deputati dovrà votare il da farsi sull'articolo 10 del ddl Concorrenza, il responsabile del caos delle ultime tre settimane. Per i tassisti deve essere stralciato in toto, per il governo deve essere approvato, ma le forze parlamentari tentano la mediazione, con anime discordanti all'interno di ciascun partito.

 

 

La possibile mediazione potrebbe passare per la piena applicazione dei decreti attuativi voluti dal governo Conte I nel 2019, che nell'ordine prevedevano: una maggiore regolamentazione per Uber sulle tariffe e sugli orari di lavoro, l'introduzione del foglio elettronico per i Noleggi con conducenti, così da poter registrare ogni movimento, e la creazione di una piattaforma digitale che possa mettere fine al Far West dell'abusivismo, in cui dovranno essere iscritte tutte le piattaforme che vorranno fare un servizio taxi in Italia. È chiaro che si tratterebbe di un compromesso, per i sindacati un male minore a cui non poter più rinunciare. Ma la situazione è talmente critica che non si può più aspettare. «Siamo davanti a Palazzo Chigi perché il governo ha tolto il potere alla Camera e al Senato. È Palazzo Chigi che chiede una delega per rispondere forse alle sollecitazioni di quelle multinazionali che oggi stanno lavorando per deregolamentare e disarticolare il mondo del lavoro», ha detto Nicola Di Giacobbe di Unica Cgil Taxi, uno dei sindacalisti incatenati. «La dignità del nostro lavoro rischia di scomparire in mano alle multinazionali». Adesso che la palla è passata al Parlamento non ci saranno più alibi: quella che ormai è diventata la frangia più resistente del Paese continuerà a rivendicare maggiore ascolto. Altrimenti i disagi non faranno che aumentare, per tutti.

 

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