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Referendum giustizia, "il carcere preventivo una tortura". Raffaele Sollecito si schiera per il sì

Christian Campigli
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Cinque quesiti per cambiare un intero settore. Un referendum che rischia di naufragare per colpa del bel tempo, del disinteresse degli Italiani e di una copertura mediatica giudicata a più riprese da parte dei promotori come “scandalosa”.

Mancano meno di trentotto ore all'apertura dei seggi di domenica. Un voto sulla giustizia, sul suo funzionamento e su alcuni aspetti che, solo in apparenza, possono sembrare tecnici e lontani dalla vita quotidiana dei cittadini. Un tema molto sentito da chi ha trascorso quattro anni in carcere prima di vedere riconosciuta la propria innocenza.

Raffaele Sollecito, imputato nella morte di Meredith Kercher, la studentessa uccisa a Perugia la sera dell'1 novembre 2007, non ha dubbi. "Andrò a votare – afferma in un'intervista rilasciata all'agenzia di stampa AdnKronos -. Il tema è complesso, ma in Italia la politica non è mai stata capace autonomamente di riformare la giustizia: nessun governo non ci è mai riuscito. I problemi sono tanti e i cittadini sono consapevoli che il sistema giustizia non garantisce i loro diritti”.

Sollecito, 38 anni, oggi lavora a Milano come ingegnere informatico. Aveva 23 anni quando è finito dietro le sbarre, tirato in ballo da Rudy Guede. Il nativo di Giovinazzo venne condannato a 25 anni per concorso in omicidio con Amanda Knox, assolto, di nuovo condannato per poi essere definitivamente assolto “per non aver commesso il fatto” dalla Corte di Cassazione nel 2014. “Purtroppo, della custodia cautelare si abusa da tantissimi anni in questo Paese. Molto spesso la reiterazione è solo una scusa, perché di fatto l'accusato non è stato ancora condannato, quindi si inficia già la presunzione di innocenza. Bisogna limitare la custodia cautelare al massimo, perché - conclude Raffaele Sollecito - diventa uno strumento coercitivo di tortura in assenza di prove, per estorcere un'ammissione di colpevolezza”.

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