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Vaiolo delle scimmie, spunta il sospetto della trasmissione sessuale

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È stato pubblicato dai ricercatori dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani, sul numero di Eurosurveillance, la rivista scientifica dell’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC), l’articolo che descrive i primi 4 casi osservati in Italia di vaiolo delle scimmie (Monkeypox) tutti in persone di sesso maschile. Alla descrizione dei casi ha anche collaborato l’Unità di malattie infettive dell’Ospedale San Donato di Arezzo.

Dall’analisi dei dati epidemiologici e clinici e dallo studio dei vari campioni biologici in cui il virus è stato identificato, l’ipotesi della trasmissione per contatto diretto durante i rapporti sessuali è ritenuta plausibile. Le caratteristiche di questi quattro pazienti «riflettono quelle descritte in altri Paesi europei nell’attuale focolaio. Le caratteristiche filogenetiche del virus potrebbero supportare l’ipotesi di una recente introduzione del clade dell’Africa occidentale dell’MPXV nella comunità dei Paesi non endemici. Inoltre, le caratteristiche della popolazione coinvolta, così come l’esposizione segnalata a molteplici contatti sessuali senza preservativo, suggeriscono che la trasmissione da uomo a uomo attraverso uno stretto contatto fisico nelle reti sessuali gioca un ruolo chiave nell’attuale focolaio. Sono necessari ulteriori studi per valutare la presenza, la persistenza e la contagiosità di MPXV in diversi fluidi corporei», si legge nelle conclusioni dell’articolo.

«Dobbiamo considerare - chiariscono i ricercatori - che molti altri virus che causano la viremia possono essere trovati nello sperma senza evidenza diretta di trasmissione sessuale. In effetti, la semina virale nel tratto riproduttivo maschile può verificarsi frequentemente nel contesto della viremia, poiché le barriere sangue-testicolo sono imperfette per i virus, specialmente in presenza di infiammazione sistemica o locale. Poiché i testicoli sono un santuario immunologicamente privilegiato, il virus può persistere anche se non è in grado di replicarsi all’interno del tratto riproduttivo». In sostanza lo studio rappresenta, insieme ad altre due rapid communication di ricercatori inglesi e portoghesi uscite sullo stesso numero, la prima descrizione dettagliata della malattia, nell’ambito del focolaio che sta interessando diversi Paesi europei e non.

 

 

 

 

IL SESSO MASCHILE È IL PIÙ COLPITO - «La descrizione clinica, a nostra migliore conoscenza, dei primi quattro casi di vaiolo delle scimmie rilevati in Italia merita un’indagine più approfondita per diversi motivi. In primo luogo, è stato suggerito che l’MPXV nell’epidemia attualmente in corso sia trasmessa da uomo a uomo, anche se questa via di trasmissione è stata segnalata come scarsamente efficiente in precedenti focolai causati dal clade dell’Africa occidentale. In secondo luogo - si legge nell’articolo - il quadro clinico sembra essere diverso dalle informazioni disponibili in letteratura perché le lesioni cutanee nei nostri pazienti erano asincrone, variando da macchia singola o a grappolo a papule ombelicate con ulcerazione centrale progressiva e, infine, a croste. Le lesioni erano localizzate principalmente nei siti genitali e perianali. Infine, gli individui colpiti dal vaiolo delle scimmie sono per lo più uomini. Nelle aree endemiche, la maggior parte dei casi è stata osservata negli uomini, probabilmente correlati a pratiche di caccia, mentre nell’attuale focolaio la maggior parte degli individui sono MSM (uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini), persone con più partner sessuali o persone che praticano sesso senza preservativo».

L’IMPORTANZA DEL COMPORTAMENTO SESSUALE - Il comportamento sessuale dei casi della presente serie e la comparsa iniziale di lesioni principalmente nelle aree anale e genitale «suggeriscono che uno stretto contatto durante il rapporto sessuale fosse importante per la trasmissione del virus. Il liquido seminale ottenuto da tre pazienti con vaiolo delle scimmie nel momento più vicino (5-7 giorni) all’insorgenza dei sintomi, è risultato positivo per il DNA di MPXV in tutti e quattro i pazienti, con un intervallo del ciclo di quantificazione (Cq) da 27 a 30. La correlazione tra valore Cq e la carica virale infettiva nelle infezioni da MPXV non è ancora nota, ma l’intervallo di valori di Cq che abbiamo misurato nello sperma rende improbabile l’isolamento virale. Tuttavia, il rilevamento del DNA virale nei tre campioni di liquido seminale che abbiamo analizzato esclude l’ipotesi di contaminazione del campione biologico. Sebbene questi risultati non possano essere considerati prove definitive di infettività, dimostrano una diffusione virale la cui efficienza in termini di trasmissione non può essere esclusa. È stato osservato che è probabile che l’MPXV possa essere trasmesso attraverso sostanze di origine umana- concludono gli studiosi dello Spallanzani- e va sottolineato che i valori di Cq nel liquido seminale dei nostri pazienti erano nel range di quelli misurati nei loro tamponi nasofaringei».

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