Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

La crisi d'identità dei giovani: sono il prodotto dei nostri insegnamenti

Mario Benedetto
  • a
  • a
  • a

A poca distanza da quelle della stilista Elisabetta Franchi, tornano a far discutere le parole di un'altra protagonista della moda. Oggi sono quelle di Tiziana Fausti, a capo della holding Exor, che avvia un dibattito dal «dress code» scolastico dei giovani, per poi allargare la considerazione sul loro approccio al lavoro e alla vita.

 

Ci sono due punti da segnare rispetto a questa considerazione, l'uno si può ritenere anche a favore, l'altro no. O meglio, consente di argomentare ulteriormente la natura dei ragazzi di oggi, qui messa in discussione. Da un lato quello basato sulla famosa «fame» è un approccio che appartiene in effetti a generazioni che furono: dai nostri nonni in poi, abbiamo testimonianze di vita passate attraverso momenti duri e difficili, al punto da segnare la storia. Su tutti quello della guerra, che oggi riecheggia e giunge a noi attraverso conseguenze per lo meno non belliche, ma economiche. Comunque preoccupanti per i costi sociali che generano e di cui abbiamo dato in questi giorni debita notizia su queste pagine. Giovani capaci di mantenere relazioni dal fronte di guerra, di mettere da parte risparmi non solo per la loro vita, ma anche per quella di figli e nipoti, che su questi hanno potuto contare, e contano tuttora. Giovani curati, per riprendere le parole della stilista, nella sostanza nella forma, come dimostrano le foto ingiallite dai ricordi, che però ancora conservano la loro bellezza e il loro fascino ai nostri occhi.

Oggi, purtroppo, sentiamo invece parlare di storie d'amore fugaci, crollate a causa di week end insoddisfacenti o perché portate avanti «a distanza», anche se di pochi chilometri. Abbiamo ragazzi alla ricerca di un lavoro, nel frattempo sostenuti dalla famiglia o dal «pubblico», cioè da noi. Che lo facciamo volentieri, per chi ha bisogno, meno per chi potrebbe attingere a maggiori stimoli.

 

E torniamo qui alla stilista, ma venendo al secondo punto, critico, ci chiediamo: chi e cosa c'è all'origine di queste nuove attitudini? C'è un sistema che li ha cresciuti così, proprio a partire da quello educativo. O meglio, prima ancora dalle famiglie, che sono passate dall'alleanza con gli insegnati alla belligeranza incondizionata in favore dei bravi figli. Poi arriviamo appunto alla scuola, che spesso ha vissuto la sua mission come completamento di programmi annuali e non come formazione d'individui critici e consapevoli. Come lo studio dell'educazione civica, esempio semplice ma emblematico: vissuta come ora di cazzeggio, dovrebbe rappresentare in realtà un momento di condivisione e di seria conoscenza del senso civico. 

E ancora: quei meccanismi assistenziali chi li offre ai ragazzi? Sempre noi. Così come un mercato troppo instabile, gravato da tasse e costi, per i giovani professionisti. E un mercato, all'opposto, quasi immutabile per il lavoro dipendente. Che avrebbe molto bisogno di ricambio, turnover anche generazionale, sulla base di meccanismi non solo di conquista e incardinamento di posizioni, ma di misurazione di efficienza e performance che siano alla base del «mantenimento» del posto e della crescita. Qui tutti gli attori economici, a partire da un certo modo di fare sindacato e intendere la tutela del lavoro, possono mettersi una mano sulla coscienza.

Per chiudere: anche per le ragioni elencate, sino a queste ultime, vogliamo parlare del «tappo sociale» che hanno i ragazzi sulla testa? Gli anni ottanta garantivano praterie a coloro che sono classe dirigente di oggi. Questione non solo di spazi, ma di cultura. Ecco, due fattori che, proprio per quello che abbiamo detto, fatto tornare in primo piano le responsabilità dei «grandi». Che possono si additare e avere da ridire sulle nuove generazioni, ma ricordando che non sono una tribù da considerare solo quando ai suoi membri iniziano a spuntare i capelli bianchi. E soprattutto ricordando, come capi, genitori o mentori, che quei comportamenti molto spesso non sono altro, nel bene e nel male, che il prodotto del loro opera

Dai blog