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Giovanni Falcone, 30 anni dopo la strage di Capaci tra indagini processi e depistaggi

Christian Campigli
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Cinquecento chilogrammi di tritolo, nitrato d’ammonio e T4. Erano le 17 e 56 di un sabato di fine maggio come tanti altri, caldo e soleggiato, quando Giovanni Brusca, l'uomo che aveva ucciso e sciolto nell'acido il piccolo Giuseppe Di Matteo, azionò un telecomando a distanza. Un piccolo gesto, in grado di innescare una violenta esplosione. La pressione di quel dito squarciò l'autostrada A29 e strappò alla vita un magistrato onesto ed appassionato. Che credeva nella giustizia.

Un episodio che modificò e non di poco anche l'intera storia d'Italia. Sono passati trent'anni dalla strage di Capaci, l'attentato che portò alla morte di Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e di tre uomini della scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. L'ultima parola su quella mattanza fu di Totò Riina. La mafia cambiava strategia. E accattava direttamente lo Stato. Che, grazie a quel magistrato onesto e coraggioso, aveva messo in ginocchio la più potente organizzazione criminale italiana.

Nel corso di questi tre decenni ci son stati indagini e processi, ricostruzioni considerate affidabili alla mattina e poi sciolte come neve al sole nel pomeriggio. I mandanti e gli esecutori della strage di Capaci sono stati arrestati.

Ma, come in ogni storia italiana, c'è un lato oscuro che non è ancora stato illuminato per colpa di un “colossale depistaggio”. Falcone, come racconterà nei giorni successivi al 23 maggio Paolo Borsellino, era solo. “Il Paese, lo Stato, la magistratura che forse ha più colpe di ogni altro, cominciò a farlo morire il primo gennaio del 1988, quando il Csm con motivazioni risibili gli preferì il consigliere Meli. La mafia ha preparato e attuato l'attentato nel momento in cui Giovanni Falcone era a un passo dal diventare direttore nazionale antimafia”.

In quei giorni soleggiati di maggio il Parlamento non riusciva a trovare un accordo per l'uomo che avrebbe dovuto succede a Cossiga al Quirinale. Oscar Luigi Scalfaro, sul quale convergeranno al sedicesimo scrutinio 672 voti, da Presidente della Camera prese la parola il 24 maggio per ricordare le vittime di Capaci. Un discorso intenso e non banale, che si concluse con una domanda: “È solo mafia quella?”. Un interrogativo che, trent'anni dopo, non ha ancora trovato una risposta.

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