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Caso David Rossi, verità grazie a familiari e Commissione non ai pm

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Davide Vecchi
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David Rossi non si è ucciso, il manager del Monte dei Paschi di Siena è stato ucciso. Questa dovrebbe essere una notizia clamorosa ma per chi ha seguito il caso è soltanto la conferma a un’ipotesi ormai certificata in questi nove anni trascorsi dalla morte di David, avvenuta la sera del 6 marzo 2013 e sin da subito spacciata come suicidio. Ora due nuove perizie di parte ricostruiscono come Rossi sia stato picchiato e fatto cadere dalla finestra (l’articolo a pag 9 di Pietro De Leo riporta gli elementi più rilevanti), a breve arriveranno le risultanze investigative affidate ai Carabinieri dalla Commissione d’inchiesta sulla morte di David Rossi e, infine, ci sono le audizioni svolte a San Macuto negli ultimi dieci mesi oltre agli esiti del lavoro compiuto dai componenti della commissione sulle carte acquisite da numerose Procure e analizzate in maniera (finalmente) approfondita.

Riassumendo: grazie al lavoro di periti e avvocati dei familiari, di una ventina di parlamentari oltre a quello di alcuni (pochi) giornalisti (Le Iene in primis) si sta arrivando a scrivere una verità almeno credibile su quanto accaduto a Rossi. E mi chiedo: chi pagherà per il lavoro compiuto da altri al posto dei magistrati? Perché di questo si tratta. Nient’altro che questo: la vedova di David, Antonella, la mamma Sofia, i fratelli Ranieri e Filippo, la figlia acquisita Carolina hanno per nove anni investito risorse in periti e legali per scoprire ciò che avrebbero dovuto scoprire sin da subito i magistrati di Siena, perché quello era il loro lavoro e per quel lavoro vengono pagati.

Ma non sono bastati i periti e gli avvocati dei familiari a spingere la magistratura a compiere nuove indagini seguendo i tanti spunti forniti (dinamica della caduta, ferite, persone presenti nel vicolo e nella banca, incongruenze nelle ricostruzioni fornite dai - pochi - testimoni sentiti, per citarne alcuni) ma è poi servita l’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta (votata a unanimità e fortemente voluta sin da subito in particolare da Luciano Nobili e Valter Rizzetto) ed è servito l’impegno di alcuni onorevoli che - va detto - si sono dedicati e si stanno dedicando con assoluta dedizione a studiare tutti gli atti al fine di comprendere cosa realmente è accaduto quella sera. Sarebbe bastato, molto semplicemente, che i pm avessero fatto il loro lavoro. Invece, ascoltando le audizioni (anche quelle degli stessi pm) si capisce quanto non è stato fatto.

La Polizia scientifica chiamata ore dopo, l’ufficio inquinato con un via vai di soggetti che neanche dovevano entrarci (e scoperti solo anni dopo grazie alla Commissione), reperti spariti, mail e messaggi cancellati. Insomma: le indagini svolte dai pm di Siena sul caso David Rossi dovrebbero essere studiate come esempio su come non si fanno le indagini. Sono una sequela di errori (e orrori) investigativi per nove anni tenuti nascosti. L’aspetto ancora più grave è che quegli stessi pm nei mesi in cui avrebbero dovuto indagare su Rossi in realtà indagavano la vedova, Antonella, per poi portarla a un processo farsa terminato con una assoluzione piena. E quello ad Antonella rimane a oggi l’unico processo in qualche modo connesso alla morte di David. Non ha dell’incredibile?

Quindi io continuo a chiedermi come sia possibile che con tutto quello che è accaduto a Siena (non solo Rossi: anche quello che doveva essere il belzebù della banca, Giuseppe Mussari, è stato recentemente assolto dopo dieci anni di Purgatorio giudiziario) il Csm non abbia mai sentito la necessità di intervenire, la Procura di Genova (competente sull’operato dei pm senesi) non abbia mai individuato alcuna sbavatura nel lavoro compiuto in Toscana e che oggi un pm che viene smentito sulle indagini in commissione parlamentare persino dalla Polizia Postale sia a capo della Procura dove lavora da decenni. Confido che qualche magistrato trovi ora coraggio per farsi carico delle perizie e del lavoro della Commissione non tanto per scrivere la verità su David ma soprattutto per restituire dignità e autorevolezza all’intera sua categoria. Il referendum sulla giustizia che si voterà il prossimo 12 giugno è persino poco.

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