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L'Unione europea ignora Mario Draghi sui migranti. A Strasburgo parla a un'aula semivuota e scettica

Carlantonio Solimene
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La notizia non è tanto che ieri, nel discorso alla plenaria di Strasburgo, il premier Mario Draghi abbia definito «inadeguate» le regole europee sull'immigrazione. Perché lo aveva già fatto, usando pressoché le stesse parole, più di un anno fa, nel febbraio 2021, quando chiese la fiducia alle Camere per il suo governo. E quindi la «novità» sostanziale è che in quindici mesi nulla si sia mosso su questo fronte. E questo nonostante l'innegabile autorevolezza internazionale del presidente del Consiglio. Che sarà stato pure capace di fermare la speculazione sull'euro con una sola frase, la leggendaria «whatever it takes». Ma non è così «onnipotente» da realizzare il miracolo di un'Europa realmente solidale sull'accoglienza.

 

Non solo: ad ascoltare il suo discorso a Strasburgo c'era un'aula desolatamente semivuota. Che si è scaldata poco in generale e per nulla quando il premier ha toccato il tasto immigrazione. «È necessario definire un meccanismo europeo efficace di gestione dei flussi migratori che superi la logica del Trattato di Dublino» ha detto. «Dobbiamo rafforzare e rendere efficaci gli accordi di rimpatrio- ha aggiunto- ma dobbiamo anche rafforzare i canali legali di ingresso nell'Ue. In particolare, dobbiamo prestare maggiore attenzione al Mediterraneo, vista la sua collocazione strategica come ponte verso l'Africa e il Medio Oriente».

 

Quindici mesi fa, a Montecitorio, era stato più sintetico: «Altra sfida sarà il negoziato sul nuovo Patto per le migrazioni e l'asilo - aveva detto - nel quale perseguiremo un deciso rafforzamento dell'equilibrio tra responsabilità dei Paesi di primo ingresso e solidarietà effettiva.

Cruciale sarà anche la costruzione di una politica europea dei rimpatri dei non aventi diritto alla protezione internazionale, accanto al pieno rispetto dei diritti dei rifugiati».

Obiettivi identici, risultati nulli. D'accordo, l'Unione europea all'epoca era impegnata a fronteggiare la pandemia e poi si è ritrovata con la guerra ai confini, ma nessuna iniziativa politica è stata neanche tentata sull'immigrazione. Persino la debole Commissione guidata da Juncker aveva fatto di più, varando un meccanismo di redistribuzione dei rifugiati che poi, nei fatti, nessuno Stato ha mai rispettato. Anche perché l'accordo non prevedeva sanzioni per i ribelli.

E così l'Italia e l'Europa sono al punto di partenza. Anzi, peggio: visto che nei primi quattro mesi del 2022 gli arrivi sulle nostre coste sono aumentati rispetto al 2021 e addirittura triplicati rispetto al 2020. E che il prossimo futuro potrebbe essere segnato da una vera e propria fuga dall'Africa di migliaia di migranti affamati dagli effetti della guerra russo-ucraina.

 

Ha gioco facile, insomma, chi accusa il premier di essersi limitato alla denuncia del problema senza lavorare a una soluzione. A partire, ovviamente, dall'opposizione di Fratelli d'Italia: «Richiamarsi alla modifica del Trattato di Dublino e a un potenziamento dei rimpatri, come si fa da 8 anni e senza esito, non basta» attacca la deputata Ylenja Lucaselli. «Così come non serve granché stigmatizzare le "barriere" sul Mediterraneo. C'è una serie di fattori che stanno peggiorando le condizioni di vita in Africa: tensioni belliche, fattore climatico, crisi alimentare dovuta allo stop del grano dall'Ucraina. Tutto questo rende l'Europa, e prima di tutti l'Italia, potenzialmente destinazione di un esodo. Le soluzioni vanno invocate sul "qui ed ora", pensando a come disinnescare le rotte, che causano numerosi naufragi mortali, e non a come distribuire chi arriva». Peraltro Giorgia Meloni ha ribadito come proprio Fratelli d'Italia denunci da sempre l'«inadeguatezza» dei trattati europei. Trattati che, però, per essere modificati richiederebbero l'unanimità del 27 Paesi membri. E, sull'immigrazione, gli Stati meno esposti ai flussi migratori fanno orecchie da mercante. Ritenendo, a torto o ragione, che i Paesi di primo approdo debbano applicare criteri più rigidi sugli ingressi. Un circolo vizioso di difficile soluzione. Che le parole di Draghi evidenziano. Ma non risolvono. 

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