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Il flop delle pillole contro il Covid

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Dario Martini
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A inizio febbraio sono arrivate le prime pillole Pfizer contro il Covid. L’Italia ha ordinato 600.000 trattamenti del nuovo anti-virale orale. Un modo per salvare altrettanti pazienti dalle conseguenze più gravi del virus. Sono passati due mesi e gli ospedali ne hanno prescritti solo 6.822. In media, nell’arco di questo periodo, si è ricorso a al Paxolvid (questo il nome commerciale del farmaco) solo 117 volte al giorno.

Eppure, l’antivirale orale era stato annunciato come la svolta nella lotta al Covid, l’arma in più per curare le persone che hanno maggiori possibilità di sviluppare la malattia grave. Il problema principale sta nel fatto che la pillola va prescritta tassativamente nei primi giorni dall’insorgenza dei sintomi. Il medico di base deve allertare tempestivamente gli specialisti ospedalieri che, a loro volta, possono attivare il trattamento. Bisogna assumere due compresse assieme ad una di Ritonavir ogni 12 ore per cinque giorni. L’ultimo monitoraggio dell’Aifa, aggiornato al 6 aprile, è impietoso. Ci sono alcune Regioni che sembrano non sappiano neppure cosa sia questa pillola. In Abruzzo è stata utilizzata solo 31 volte, in Basilicata 47, in Molise 44. Anche nelle regioni più grandi, con una popolazione maggiore, non va meglio: 134 volte in Calabria, 129 in Sardegna, 229 in Sicilia e 226 in Campania. Spicca invece il Veneto, al primo posto con 1.472 trattamenti, seguito dalla Toscana con 919 e il Lazio con 734. La pillola di Pfizer non è l’unica in commercio per curare i pazienti che non necessitano di ossigenoterapia supplementare e che sono a maggior rischio di progressione verso forme severe di Covid. Il sistema sanitario nazionale ha a disposizione anche un’altra pillola prodotta dalla Merck: il Molnupiravir. Purtroppo, anche in questo caso, se ne fa uno scarso utilizzo. Ne sono state prescritte solo 16.732 nell’arco di 98 giorni. La Regione più virtuosa, in rapporto alla popolazione, è la Liguria con 1.282 prescrizioni.

 

 

 

 

Da quando i monoclonali sono diventati meno efficaci nel contrastare gli esiti peggiori della malattia, a causa del diffondersi della variante Omicron 2, il farmaco migliore sarebbe proprio la pillola antivirale. Nell’ultima settimana sembra essersi smosso qualcosa, dal momento che per Paxlovid si sono registrate 1.492 nuove prescrizioni, circa il 14,51% in più rispetto ai 7 giorni precedenti. Ma è ancora troppo poco. Il governo sta studiando come risolvere il problema. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha spiegato che la strada potrebbe essere quella di coinvolgere attivamente i medici di base: «Stiamo lavorando, ora che abbiamo più dosi a disposizione, alla territorializzazione: l’idea è quella di arrivare a consentire la prescrizione anche ai medici di medicina generale, proprio per favorire un accesso più capillare». Rispondendo all’ultimo question time alla Camera, il ministro ha aggiunto che si vuole far scendere in campo anche le farmacie: «Su questo aspetto ha iniziato a lavorare il Comitato tecnico scientifico dell’Aifa. È la direzione giusta per promuovere una più veloce somministrazione del farmaco».

Sul tema è stata presentata anche un’interpellanza bipartisan a prima firma del deputato di Forza Italia Andrea Mandelli: «Non possiamo permettere che medicinali così utili, e per di più costosi, arrivino a scadenza negli scaffali degli ospedali. Gli antivirali sono sottoposti a cura domiciliare e non necessitano di essere gestiti in ambiente ospedaliero. Solo la distribuzione capillare sul territorio consentirà di contribuire in modo efficace a contrastare la diffusione del Covid». Ed è proprio la strada che intende percorrere Speranza.
 

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