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Ucraina, Gianluigi Paragone: perché dico no a Zelensky. Il suo tour odora di americano

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Non andrò ad ascoltare in aula il presidente Zelensky pur provando un senso di pietas profondo per il popolo ucraino tormentato dalle bombe e dai colpi di Putin, il quale - ben inteso - resta l’aggressore. E gli aggressori restano nella colonna sbagliata della Storia, per quanto la stessa Storia si prenderà cura di studiare le cause di questo conflitto. Che sono come la polvere che si cumula sul tavolo. E che portano anche le impronte digitali dell’Europa e ancor più degli Stati Uniti d’America. Preciso ulteriormente: della visione imperialista che il Partito democratico interpreta.

 

Non ho rapporti diretti o indiretti con Putin o con i suoi gangli: non ho preso soldi, non ho relazioni finanziarie, non ho consulenze e non ho nemmeno indossato maglie di propaganda. Ho solo il dannato vizio di leggere i fatti per quello che sono. E ancor più sono interessato a una Pace possibile, così come ho cura di difendere gli altrettanto sacrosanti interessi dell’Italia, ancora una volta frettolosamente coinvolta dal governo a recitare una parte diversa da quella che le sarebbe propria, cioè di mediazione.

 

Zelensky non è un ambasciatore di pace, per quanto la narrazione dominante lo voglia dipingere come il Buono della Storia. E’ un aggredito che ha il pieno diritto di difendersi, ma ha il torto di volere tutti coinvolti nella sua azione di Resistenza al Cattivo, obbligando tutti a stare dalla sua parte. La comunicazione di Zelensky spinge l’acceleratore al massimo, sulla scia di immagini drammatiche e tragiche di cui sono zeppi giornali, telegiornali e trasmissioni (testimoniando una volta di più che le guerre, i morti e la disperazione si materializzano solo se si accende una telecamera o si apre l’obiettivo del fotografo altrimenti non c’è). Nessuno dubita che in Ucraina si stia consumando una tragedia. Quel che metto fortemente in discussione è se siamo sulla strada dell’accordo pacificatore. Invitare in parlamento Zelensky mi sa tanto di omologazione: lo hanno fatto loro allora lo dobbiamo fare anche noi. Aggiungo che questo tour del presidente ucraino odora parecchio di organizzazione americana, inteso nel segno di Biden.

Davanti ai parlamentari che si sentiranno parte del fronte dei Buoni per il solo fatto di battergli le mani e di tributargli la standing ovation, il presidente dalla barba incolta e il look militare ripeterà ciò che la Casa Bianca vorrebbe che accadesse: no-fly zone, più armi, più soldati per la guerriglia della seconda fase, più presenza in questo scontro che in America era stato paragonato all’11 settembre o a Pearl Harbour, in Germania al Muro simbolo della Guerra Fredda, e a Gerusalemme al furore nazista di Hitler (attirandosi una montagna di critiche). Magari alla Camera parlerà del fascismo e della resistenza (non mi stupirei una citazione di Bella Ciao). Il canovaccio degli speech nei parlamenti dei paesi alleati si ripete con lo stesso schema.

E’ chiaro che il presidente ucraino ha gioco facile - essendo l’aggredito - ad attirare il consenso, ma siccome qui c’è uno scontro armato da fermare o comunque da non allargare a macchia d’olio il consenso non serve. E non serve nemmeno contrastare una propaganda con altra propaganda. Le parole di Zelensky non sono parole di pace o di pacificazione: dal suo punto di vista si può capire, ma dal nostro (o comunque dal mio) no. Non è che se tutti entriamo in guerra per solidarietà, poi d’incanto arriva la pace. Alla pace si arriva affidando a terzi un ruolo di mediazione, il quale ruolo comporterà scelte difficili.

 

Merito in fila alcune espressioni usate da Zelensky davanti a rappresentanti del popolo: «La forza è l’unico modo per costruire la pace», «I have a need, io ho un bisogno (…) Sono qui per chiedere di fare di più, vi sembra troppo proteggere i nostri cieli con una no-fly zone?», «La Germania ha anteposto gli interessi economici (stava parlando del secondo gasdotto nda) alla sicurezza europea», (a Scholz) «Abbatta questo muro e conceda alla Germania il ruolo di leader che si merita (…) Chiedete l’embargo energetico». E altro.

Diciamola tutta: a dare retta a Zelensky portiamo dritto dritto il Vecchio Continente nella terza guerra mondiale. E non vorrei che questa situazione facesse comodo a qualcuno al di là dell’Oceano. Un qualcuno che ha fatto male in conti con la Russia e la Cina fin da l’inizio.

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