Il giallo del patto Roma-Mosca: l'incontro segreto nell'emergenza Covid e le minacce della Russia
“In caso di ulteriori sanzioni le conseguenze saranno irreversibili”. È la frase dal tono minatorio pronunciata dall’ex console russo a Milano - ora direttore del dipartimento Europa del ministero degli Esteri russo - Alexei Vladimorovic Paramonov, riferendosi all’Italia. Senza spiegare le effettive ritorsioni che potrebbero verificarsi nel caso che il nostro Paese approvi altre misure punitive dell’Unione Europea, ha affermato: “Ci aspettiamo che a Roma, come in altre capitali europee, tornino comunque in sé, ricordino gli interessi profondi dei loro popoli, le costanti pacifiche e rispettose delle loro aspirazioni di politica estera”. Il Corriere della Sera ha svelato un retroscena che potrebbe far comprendere il motivo per il quale il diplomatico di Mosca ha puntato il dito proprio contro l’Italia.
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Paramonov ha accusato, in un’intervista all’agenzia Ria Novosti, il ministro della Difesa Lorenzo Guerini di essere “uno dei principali falchi e ispiratori della campagna antirussa del governo italiano”, rinfacciando in maniera neanche troppo velata il sostegno della Russia al governo italiano in occasione dell’inizio della pandemia da Covid-19. La minaccia, quindi, andrebbe ricondotta ad una sorta di ‘patto’ siglato tra Roma e Mosca, organizzato nella telefonata tra l’ex Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il leader russo Vladimir Putin, nel marzo del 2020. Putin il 22 marzo 2020 inviò una sua delegazione di medici e militari in soccorso per combattere l’emergenza pandemica. In quel periodo, prosegue il Corriere, ci fu un incontro rimasto finora segreto tra la delegazione russa guidata dal generale Sergey Kikot e, tra gli altri, gli esponenti principali del Comitato tecnico Scientifico. Ma cosa successe nei giorni seguenti non è molto chiaro, con i russi che si stanziarono in Lombardia per un paio di mesi e siglarono alcuni accordi con strutture sanitarie, tra cui lo Spallanzani di Roma per la sperimentazione dello Sputnik, nonostante il ‘no’ categorico da parte dell’Ema. In ogni caso, nei mesi successivi, il New Yorker riportò che avevano “elaborato il Dna di un cittadino russo risultato positivo in Italia per le ricerche sullo Sputnik”.
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L’arma da ritorsione russa, tuona il Corriere, riguarderebbe quindi non solo la rivelazione di dati sensibili, tra i quali diverse cartelle cliniche con i dati sanitari dei pazienti, ma anche dei patti concordati con la delegazione russa durante il primo lockdown italiano.
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