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Fabrizio Corona choc: "Così hanno cercato di uccidermi. So come finirò"

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Fabrizio Corona, i due presunti tentati omicidi, il rapporto burrascoso con la legge e le donne. L'ex agente fotografico dei vip si è raccontato nel libro autobiografico "Come ho inventato l'Italia" e in una lunga intervista al Corriere della sera ripercorre i punti salienti della sua vita. Parla di due tentati omicidi commissionati ai suoi danni e della legge del crimine. "Le spiego della volta con gli albanesi - dice Corona a Candida Morvillo -  C'era un mio cliente, nipote di un celebre potente della storia d'Italia". "Prima di fare il nome: l'ha denunciato?", chiede la giornalista. "Io non denuncio mai (...). Nel libro, c'è. Insomma, mi fa causa: secondo lui, gli dovevo dei soldi. Ma la regola della malavita è che, se fai causa, non puoi mandare il recupero crediti", replica Corona che spiega: "Se hai messo le carte in mano alla polizia, alla legge, non puoi mandare il balordo a pestare il debitore".

Ma l'omicidio? "Arrivano in ufficio due albanesi. Uno dice: Corona, hai un problema con xx, vedi di dargli i soldi. E io: ah sì? Usciamo e vediamo". Di lì a poco scatta la rissa in mezzo alla strada e gli aggressori scappano. "Dopo un po', un tale mi dice che c'è uno pesante di una famiglia balorda che mi vuole parlare. Era grossissimo e sul cucuzzolo della testa aveva tatuata la sigla Acab: all cops are bastards , tutti i poliziotti sono bastardi. Mi fa: sono venuti due albanesi per comprare una pistola e noi, prima di vendere una pistola, vogliamo sapere a che serve". Ovviamente, dice Corona, serviva "a uccidermi o gambizzarmi". Si è salvato grazie chi si è messo in mezzo "perché mi rispettano". C'è però il rischio di un "cavallo di ritorno", quando "un malavitoso ti fa un favore, ma per avvicinarti e ottenere qualcosa di peggio", spiega Corona che non ha dubbi: "Penso che morirò ammazzato (...). Ho fatto sei anni di carcere, anche con criminali efferati di cui ho dovuto essere amico per salvare la pelle e che, quando escono, sanno dove trovarmi. Ora, arrivano e dicono: prestami diecimila euro. E io: 'sto cavolo'". "Vogliono favori. Prima, davo retta, ora, li mando a quel paese. Ma è gente che se la prende. Tanti mi vorrebbero morto".

La lunga storia giudiziaria di Corona è al centro del libro. "Non sono un criminale, sono un furbo che non ha fatto male alla povera gente, ma ha sfruttato e fregato un sistema già corrotto. Ora ho incontrato tante case di produzione per trattare i diritti per film e docuserie e tutti mi hanno detto: non pensare che ne esci bene. Sicuramente è così, ma anche Il Lupo di Wall Street , quando ha dato i diritti, era una persona diversa da quella che si vede nel film", dice.

Corona poi si definisce un anarchico che da quando, a 14 anni, ha battuto la testa in una piscina vuota non è stato più lo stesso. E i fotoricatti ai vip e la sua scalata nel mondo dello spettacolo e dei media li ha fatti perché "mio padre, da quel mondo, è stato sconfitto e io l'ho voluto vendicare". Vittorio Corona "era un grande giornalista ed è stato fatto fuori dal sistema. Dalla Rai, nel '92, per un titolo sui politici e la Cupola; da Mediaset, perché non appoggiò Berlusconi nel '94. Andò alla Voce con Indro Montanelli e quando hanno chiuso, non ha più potuto lavorare", accusa Corona.

Di notte "mi vengono i flashback come ai reduci del Vietnam. Senza sonniferi, non dormo", e sogna il suicidio di un detenuto.  Sul carcere confida che si è rotto da solo il dito anulare: "dovevo lanciare un marchio su una maglietta e avevo bisogno di uscire e farmi fotografare. Mi hanno portato cinque volte all'ospedale e ho fatturato 50 mila euro". Si reputa un "malato di soldi": "sto cercando di curarmi con due psichiatri". E l'amore? Quello autentico è per la madre. "La chiamo di continuo, ma da piccolo mi sentivo sempre il meno amato. Il mio auto-sabotaggio nasce lì: se amo e sono bravo, temo di restare fregato". Quanto a Nina Moric e a Belén Rodriguez, sulle due storiche compagne Corona ammette: "Ne ho fatte di ogni. Infatti, oggi so che non era amore".

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