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Non hai il Covid? Ti arrangi. E' fuga dagli ospedali del Lazio

Così l'emergenza legata alla pandemia ha allungato le liste d'attesa per le altre cure

Antonio Sbraga
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Come un incidente in tangenziale, il Covid ha finito d’allungare gli incolonnamenti delle già debordanti liste d’attesa negli ambulatori del Lazio. Dove, negli ultimi 10 anni, s’è accumulata una mancanza di mille specialisti e, alla riapertura post-lockdown di fine maggio, già si contava oltre un milione d’appuntamenti da dover recuperare. Ora la stagione estiva, con i piani ferie e gli organici ancor più ridotti, non ha di certo aiutato a risalire la china: questa settimana, infatti, il monitoraggio regionale dei tempi d’attesa delle prestazioni con priorità «differibile» presenta ben 7 tipi di appuntamenti col bollino rosso. Solo meno della metà di questo «set» rispetta i tempi massimi previsti dalla legge (30 giorni), con le situazioni più critiche per ecografie, ecocolordoppler, colonscopie ed esofagogastroduodenoscopie. Prestazioni semi-inaccessibili in tempi brevi, che rendono ancora più gravosa la situazione dei pazienti più fragili, come quelli chiamati dalla stessa Regione a presentare certificati di visite specialistiche o referti di esami diagnostici per ottenere il rinnovo dei piani terapeutici in scadenza. 

È dal luglio scorso che le associazioni dei pazienti con malattie rare denunciano questi ritardi, però la situazione ancora non si sblocca: «Nient’affatto, ed è una vergogna - denuncia la presidente di Asmara Onlus, Maria Pia Sozio - perché è dal giugno scorso che la Regione Lazio, dopo aver decretato la fine dello stato d’emergenza, ha richiesto ai pazienti il rinnovo dei piani terapeutici, che però sono ottenibili solo dopo le opportune visite specialistiche». Ed è la stessa Regione che, nella maggior parte dei casi, garantisce ancora oggi solamente le visite urgenti e brevi, non permettendo quindi di ottenere queste prestazioni, se non con lunghissime attese e, quindi, determinando di fatto uno stop nella cura. «L’effetto di questa situazione - conclude la presidente dell’onlus - è l’interruzione delle terapie proprio per l’impossibilità di ottenere una visita specialistica legata al proprio piano terapeutico, non tenendo nel minimo conto che qui parla di malattie rare». 

Eppure l’assessore regionale alla Sanità, Alessio D’Amato, nel maggio scorso aveva annunciato un piano di recupero che assicurava l’apertura degli ambulatori fino alle 22. Ma gli agognati risultati non sono arrivati. Come non è mai partita l’estensione degli orari degli specialisti, nonostante la richiesta avanzata sin dal maggio scorso dal presidente dell’Ordine dei Medici di Roma, Antonio Magi: «Nell’ultimo decennio si è creata una mancanza di circa 1.000 specialisti nel Lazio, di quelli a 38 ore settimanali. Così oggi vi sono in servizio 2.143 specialisti con incarichi mediamente di 20 ore settimanali. Basterebbe portarli al massimale orario di 38 ore o assumerne dei nuovi per un totale di almeno 38.000 ore settimanali in tutta la Regione per sfoltire le liste d’attesa». Però, invece di aumentare l’orario degli specialisti al massimo, si sono finiti d’allungare i tempi massimi delle code al Cup (peggio del Gra).

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