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Valzer di poltronissime. Consulta e non solo, scoppia la guerra dei mandarini

Comincia il risiko per le presidenze di Consiglio di Stato e Corte dei conti e per la Consulta

Luigi Bisignani
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Caro direttore, mentre si consuma la guerra per la sopravvivenza di «Giuseppi» sui fondi europei, nelle segrete stanze si contendono feroci battaglie di potere, possibilmente al riparo dai Trojan. Come quelle per la Presidenza del Consiglio di Stato, il massimo organo di giustizia amministrativa, della Corte dei Conti e per la poltrona d’oro, riservata al Consiglio di Stato, della Corte Costituzionale.

Proprio dalla Corte dei Conti alla Consulta approda, al posto di Aldo Carosi, pupillo di Sergio Mattarella e per questo sicuro di un futuro radioso, Angelo Buscema, nominato a suo tempo da Paolo Gentiloni, che l’ha spuntata al ballottaggio per soli quattro voti contro Vito Tenore, un moderato parcheggiato alla Scuola Nazionale dell’Amministrazione (SNA). La sua elezione lascia libera la poltrona di capo della magistratura contabile. E anche qui si affilano le lame al chiar di luna. Da un lato, i componenti laici del Consiglio di presidenza, in accordo con i componenti togati, cercano di imporre Tommaso Miele, corpulento presidente della sezione giurisdizionale del Lazio, in basso nella classifica di anzianità; dall’altro, ci sono i più titolati come Raffaele Dainelli, pupillo di Buscema, Luciano Calamaro, per anni controllore della Rai, e Carlo Chiappinelli, giurista tutto d’un pezzo.

 

Ma la partita più pesante si giocherà fra pochi mesi, quando andrà in pensione dalla Consulta Giancarlo Coraggio, democristiano della Prima Repubblica, approdato a tale carica nel gennaio 2013, dopo un ballottaggio drammatico. Il Consiglio di Stato, così come la Corte dei Conti, elegge infatti un suo magistrato tra i quindici top mandarini della Consulta. Questa designazione crea, da sempre, forti ostilità barbariche. Tagliato fuori dai giochi, perché prossimo alla pensione, è probabilmente Sergio Santoro, grande tifoso della Lazio e tra i più stimati. È sicuro di farcela, invece, l’attuale Presidente, Filippo Patroni Griffi, famiglia aristocratica napoletana con parentele toscane, piddino nell’animo, da sempre sponsorizzato da Franco Bassanini, nella sua vita, dopo aver girato vari gabinetti ministeriali, è approdato a Palazzo Chigi come segretario generale, poi sottosegretario e, addirittura, come ministro nel governo Monti. Ma tutti giurano che per lui la partita sarà durissima con un finale al cardiopalmo.

Nelle molte cene estive a Fregene e sulle terrazze romane, come da tradizione, si muovono nell’ombra e si creano le alleanze giuste tra magistrati in cerca di appoggi. La sfida, a sentire i rumors, è tra i presidenti di due sezioni, la quinta e la quarta: Giuseppe Severini, moderato e già consigliere alla Difesa, e il napoletano Luigi Maruotti. Ma sta scaldando i muscoli anche Carmine Volpe che, ai tempi del governo Berlusconi, entrò in conflitto con Maurizio Gasparri, allora alle Comunicazioni.

Questa battaglia influirà anche per un altro pezzo da novanta del Consiglio di Stato, con un curriculum impressionante: Franco Frattini, giovane socialista, autorevole ex ministro degli Esteri e della Funzione Pubblica, a un passo dal diventare segretario generale della Nato, se non fosse stato considerato troppo amico della Russia nonostante gli stretti rapporti con Hillary Clinton, all’epoca segretario di Stato Usa. Con Patroni Griffi alla Corte si spalancherebbero per il gagliardo Frattini le porte della presidenza del Consiglio di Stato.

Ma lui in queste settimane è al centro di mille incontri. Giorgia Meloni e Matteo Salvini stanno facendo un pensiero per averlo come candidato sindaco di Roma, appoggiando, nel caso, anche una sua eventuale lista civica. Ma Frattini, da esperto maestro di sci, è sempre molto prudente e, avendo studiato al Giulio Cesare di Roma, non vuole che si possa dire di lui come della Sora Camilla, «tutti la vogliono nessuno se la piglia...».
 

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