Montella sotto torchio per tre ore. Il legale: "Ha sbagliato per vanità, ora è molto provato"
«Si possono fare errori per ingenuità, per vanità, per tante cose. Certe condotte possono avere rilevanza penale, altre no. Chi ha sbagliato pagherà». Parla così all’uscita dal carcere di Piacenza dopo oltre tre ore di interrogatorio di garanzia Emanuele Solari, difensore di Giuseppe Montella, l’appuntato dei carabinieri della stazione di Piacenza Levante arrestato mercoledì nell’ambito dell’inchiesta della procura piacentina che vede indagati altri nove militari e accusato di essere stato il promotore del giro di arresti illegali, spaccio di droga, pestaggi ed estorsioni venutosi a creare nella caserma, ora sequestrata.
«C’è stata una collaborazione completa, chiarificatrice e senza esitazioni» con gli inquirenti, ha proseguito il legale, «il mio cliente ha risposto a tutte le domande che gli sono state fatte». Solari non è voluto entrare nel merito delle accuse mosse a Montella, limitandosi a spiegare che alla Levante «non c’era nessuna regia» criminale e definendo «notizie destituite da ogni fondamento» le presunte feste con le escort e le decine di conti correnti aperti a nome di Montella.
Sugli addebiti di tortura e sul pestaggio di alcuni spacciatori, l’avvocato ha sostenuto che «non è questo il momento di rispondere, ci saranno ulteriori indagini e riscontri». Quanto alle condizioni del carabiniere, Solari lo ha descritto come «molto affranto e abbattuto, anche perché pensa a chi legge queste notizie. Ci sono minorenni che vedono i giornali in cui i loro genitori vengono accusati di cose molto gravi. Se è pentito? Il pentimento è un fatto emotivo che poco importa alla giustizia, la giustizia deve applicare il codice penale».
Intanto dalle carte dell'inchiesta emergono nuovo elementi. «A Rivergaro e a Bobbio gli devo fare un culo così, è una questione di orgoglio, mi gira il culo che gente che rispetto a voi non vale un cazzo fa i figurini con il colonnello, con il comandante della Legione eccetera. Io parlo a nome della compagnia di Piacenza, è una questione di dignità». Parlava così l’ormai ex comandante della compagnia carabinieri di Piacenza, il maggiore Stefano Bezzeccheri, rivolgendosi all’appuntato Giuseppe Montella, ora entrambi indagati nell’inchiesta della procura di Piacenza sul presunto giro di illeciti che si svolgeva nella caserma di Piacenza Levante, posta sotto sequestro.
Negli atti dell’inchiesta i pubblici ministeri che hanno condotto le indagini definiscono «confidenziale» il rapporto tra Bezzeccheri e Montella e ripercorrono alcuni episodi in cui il primo spingeva il secondo, e gli altri militari della stazione, a conseguire più risultati di servizio possibili per contrastare i successi ultimamente appannaggio dei colleghi di Bobbio e di Rivergaro. L’inchiesta coordinata dal procuratore capo Grazia Pradella ipotizza proprio che i carabinieri realizzassero sistematicamente arresti illegali appositamente per sequestrare droga da rivendere, sia per arricchirsi sia per acquisire prestigio professionale. «Senti un po', io ti devo parlare a quattr’occhi, in borghese, al di fuori del servizio, quanto prima», diceva, intercettato, Bezzeccheri a Montella a febbraio. «Adesso vediamo di farne il più possibile (di arresti, ndr), anche settimana prossima, almeno di farne altri tre-quattro», gli rispondeva Montella.
«Devo prendere una panetta (di hashish, ndr) e faccio gli ovuli. Minchia, gli ovuli li vendiamo subito… Ogni ovulo lo vendo a 100, 120 euro. Li vendo a occhi chiusi, che spettacolo». Parlava così, secondo le intercettazioni riportate negli atti dell’indagine, l’appuntato dei carabinieri Giuseppe Montella, principale indagato nell’inchiesta della procura di Piacenza che ha ricostruito come i militari in servizio nella caserma Levante avessero messo in piedi un giro di arresti illegali, spaccio di droga, pestaggi ed estorsioni fin dal 2017. «Io se gli faccio vedere gli ovuli quello impazzisce», prosegue Montella parlando con Daniele Giardino, uno dei pusher finiti in carcere mercoledì, e riferendosi a uno dei suoi galoppini, «gli dico: ’Io li ho pagati cari, se li vuoi stanno a tot’».