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Servono navi, gli diamo le jeep. Così abbiamo tirato il pacco ai libici

Visita con gaffe della ministra dell'Interno Lamorgese per parlare della stabilizzazione del Paese africano e del nodo migranti

Francesca Musacchio
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Servono motovedette per la guardia costiera e arrivano jeep. Il governo Conte in Libia non azzecca una mossa. Ieri si è svolta a Tripoli la visita del ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, che ha incontrato il premier Fayez al Sarraj e i suoi Ministri. Sul tavolo la stabilizzazione del Paese e ovviamente la questione migranti, oltre che il rientro delle aziende italiane in Libia. Ma il regalo portato dal titolare del Viminale ha fatto storcere il naso a qualcuno della guardia costiera libica. Insomma, il dono non è stato gradito, almeno da una parte dei libici, cioè quelli a cui chiediamo di intercettare e fermare i barconi che si dirigono verso le nostre coste.

 

La questione delle motovedette è grottesca. Pare, infatti, che già dai tempi dell’accordo firmato con Gheddafi, l’Italia si sarebbe impegnata a fornire motovedette alla guardia costiera libica da sostituire con le nuove dopo tre anni. Questo accordo non sarebbe mai stato rispettato e oggi meno che mai. I mezzi forniti ai libici per andare per mare e fermare i barconi (perché questo, al di là della propaganda, è l’obiettivo di tutte le visite istituzionali tra il governo di Tripoli e Roma) sono vecchie bagnarole.

E ieri, ancora una volta, niente motovedette. L’Italia si è presentata a Tripoli con una decina di jeep 4x4 (pare nuove), consegnate ai poliziotti che si occupano di contrastare l’immigrazione illegale. Ma sul reale impiego dei mezzi, in Libia c’è un po’ di scetticismo. Anche perché i fuoristrada potrebbe far gola, ad esempio, ai miliziani che di razzie ne compiono di continuo e senza alcun ostacolo. E così finirebbero, in breve, nelle mani sbagliate.

 

Fathi Bashagha, il ministro dell’Interno di Sarraj, pare abbia ringraziato per il dono, ma avrebbe aggiunto che né Roma né l’Europa hanno le idee chiare su quello che vogliono fare in Libia. Quindi, regalare jeep non basta. Serve un piano di lungo periodo, serio e credibile. Anche perché i libici non hanno nessuna intenzione di nazionalizzare la questione migranti. E considerati i venti di guerra che si respirano nel paese nord africano a causa delle tensioni tra Egitto e Turchia, se i libici mollano, in Italia si riverserà un fiume di immigrati.

Ma mentre la Lamorgese si trovava a Tripoli per «imprimere un’accelerazione a tutte le attività di collaborazione» tra Italia e Libia, a Roma si consumava l’ennesimo dramma politico del governo proprio sulle missioni all’estero. La Camera, con due votazioni per parti separate, ha approvato la risoluzione di maggioranza (con parere favorevole del Governo) sulle missioni militari all’estero. Proprio sul rifinanziamento della missione italiana di sostegno alla Guardia Costiera libica, si è creato il «fronte del no» (di cui fanno parte, tra gli altri, Erasmo Palazzotto, Matteo Orfini, Doriana Sarli, Laura Boldrini), che però non ha avuto peso sull’approvazione. Anche se alla guardia costiera potrebbe arrivare ben poco. 

 

In ogni modo, la polemica è scoppiata e in una nota i contrari al finanziamento alla guardia costiera libica hanno dichiarato: «Il voto di oggi alla Camera dei Deputati, come quello di qualche giorno fa al Senato, dimostra che c’è una parte della maggioranza di governo, trasversale a tutte le forze che la compongono, che non condivide la linea scelta sulla collaborazione con la Guardia Costiera libica e, più in generale, chiede una discontinuità reale nella gestione complessiva del fenomeno migratorio». Forse per placare il «fronte del no», il ministro dell’Interno italiano avrebbe chiesto a Sarraj di evacuare i centri di detenzione e di gestire il controllo dei flussi migratori rispettando i diritti umani.

Ma il terreno è estremamente scivoloso, soprattutto se le tensioni tra Egitto e Turchia dovessero aumentare. Una guerra, infatti, non consentirebbe alcun tipo di controllo e in nome del petrolio si consumerà l’ennesima strage. 
 

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