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Coronavirus, un Paese intero in ostaggio del derby infinito tra virologi

Francesco Storace
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Metta la mascherina. Tolga la mascherina. Resti in casa. Esca di casa. Si allontani. Si avvicini. Ci faranno morire pazzi, altro che coronavirus. Il nostro rifugio sarà il più vicino reparto di psichiatria. Lo stato di emergenza a cui stiamo pensando solo noi servirà ad avvistare più facilmente l’asintomatico della porta accanto, visto che non è andata propriamente benissimo con l’app Immuni?

Il virus come il derby. Da tripla. Il cittadino comune vuole sapere quando finirà questa vita. Non quella che ci spalanca le porte del Creatore, ma quella più prosaicamente terrena che ci impedisce di abbracciare chi diavolo ci fa piacere. I virologi stanno assiepati in curva sud e in curva nord. Il tifo è alle stelle e nessuno ci fa capire se a settembre dobbiamo tornare a rinchiuderci dentro casa oppure no. E magari se buttare il bonus vacanze visto che se si parla di nuovo di stato d’emergenza ci si faccia intendere come riuscire a partire per la meta agognata dall’anno scorso.

Forse bisognerà spegnere la televisione, scioperare da internet per una settimana e non ascoltare le voci una contro l’altra armate, perché non se ne può più. Viene il dubbio che certi virologi abbiano bisogno dello stato di celebrità. Se finisce l’ansia collettiva, termina un mestiere.

La giornata di ieri è stata terribile. Partita con una domanda assolutamente fondata, sparata su facebook dal prof. Giulio Tarro. In sostanza, “chi sta consigliando ancora Conte?”. Perché Tarro afferma che la pandemia è un’invenzione a scopi politici. E giù legnate ai suoi colleghi, da Crisanti a Guerra, da Ricciardi a Pregliasco: “Parlano a vanvera”. Il che equivale a gettare il classico fiammifero nel pagliaio, con le profezie più terribili lanciate dai professori in questione. “Il virus sarà ancora più aggressivo nella seconda ondata”. “Durerà diversi anni”. Li fulmina il prof. Alberto Zangrillo: “Giocate a fare le star, siete topi da laboratorio”. E si becca l’anatema dal prof. Enrico Bucci, ricercatore a Filadelfia: “Quando parla lui, i libri si bruciano da soli”. Altro giro, altro virologo, Massimo Clementi: “Se prorogano lo stato d’emergenza, scendo in piazza”.

In attesa di una dichiarazione del generale Pappalardo, ci permettiamo di supplicare una moratoria delle esternazioni. Perché sta diventando un supplizio la rincorsa quotidiana all’esasperazione o alla minimizzazione. I cittadini italiani sono trattati come robot a cui inviare comandi da parte di una politica divisa a sua volta eterodiretta da scienziati profondamente divaricati nelle loro convinzioni.

Serve invece una iniezione di serietà da parte della classe dirigente, se si vuole restituire speranza alla comunità nazionale.
Più che emergenza, bisogna raccomandare la precauzione. Che godrà delle fiducia popolare se si vedranno investimenti concreti sui settori più importanti: sanità, trasporti, scuola.

Proprio perché è inimmaginabile tornare ad un anno fa, diventa altrettanto impensabile la prospettiva di rinchiuderci come a marzo. Lo Stato deve spendere dove serve per garantire una vita più tranquilla ai cittadini. Chi se ne frega dei monopattini, restituiteci i nostri ospedali, le nostre scuole, i nostri treni e i nostri bus in condizioni di sicurezza. Se parlate di stato d’emergenza, vuol dire che non avete ancora deciso che cosa fare e in testa avete solo le zone rosse da tornare ad istituire.

Anche perché, diciamola tutta, se la situazione fosse davvero ancora così drammatica, non dovrebbe essere più permesso a chi ci governa di abusare dei suoi poteri infischiandosene dell’opposizione. Se la tragedia è ancora alle porte, non c’è un solo motivo per affidare le cure a chi non ci ha capito nulla fino ad ora, pretendendo di decidere da solo. I virologi tornino ai loro studi. Perché le loro liti – penose -  diventano un alibi per chi è incapace di governare.

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