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Silvia Romano e l'Islam: ho sognato il nome Aisha, era sulla tessera della metro

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Silvia Romano oggi è Aisha. L'ex cooperante rapita in Kenya e finita nelle mani delle milizie islamiche di Al-Shabaab ha stupito tutti, al ritorno in Itali dopo la lunga prigionia, con i segni esteriori della sua conversione all'Islam: velo e abito tradizionale somalo. "Per me il mio velo è un simbolo di libertà, perché sento dentro che Dio mi chiede di indossare il velo per elevare la mia dignità e il mio onore, perché coprendo il mio corpo so che una persona potrà vedere la mia anima. Per me la libertà è non venire mercificata, non venire considerata un oggetto sessuale", ha spiegato Silvia  Romano in un'intervista rilasciata al quotidiano online La Luce.

 

"Quando vado in giro sento gli occhi della gente addosso; non so se mi riconoscono o se mi guardano semplicemente per il velo; in metro o in autobus credo colpisca il fatto che sono italiana e vestita così. Ma non mi dà particolarmente fastidio. Sento la mia anima libera e protetta da Dio", dice l'ex cooperante che spiega: "Il concetto di libertà  è soggettivo e per questo è relativo. Per molti la libertà per la donna è sinonimo di mostrare le forme che ha; nemmeno di vestirsi come vuole, ma come qualcuno desidera. Io pensavo di essere libera prima, ma subivo un’imposizione da parte della società e questo si è rivelato nel momento in cui sono apparsa vestita diversamente e sono stata fatta oggetto di attacchi ed offese molto pesanti. C’è qualcosa di molto sbagliato se l’unico ambito di libertà della donna sta nello scoprire il proprio corpo".

Silvia Romano ha raccontato anche come ha scelto il nome Aisha: "Ho sognato di trovarmi in Italia, passavo ai tornelli della metropolitana e sulla mia tessera dell’ATM c’era scritto Aisha e poi è un nome che significa “viva”". 

 

La giovane ha scoperto l'Islam durante la prigionia. "Prima di essere rapita ero completamente indifferente a Dio, anzi potevo definirmi una persona non credente; spesso, quando leggevo o ascoltavo le notizie sulle innumerevoli tragedie che colpiscono il mondo, dicevo a mia madre: vedi, se Dio esistesse non potrebbe esistere tutto questo male quindi Dio non esiste, altrimenti eviterebbe tutto questo dolore", ha raccontato ancora aggiungendo che "mi ponevo queste domande rarissime volte, solo quando - appunto - mi confrontavo con i grandi mali del mondo. Nel resto della mia vita ero indifferente, vivevo inseguendo i miei desideri, i miei sogni e i miei piaceri". E alla domanda ’Quando è suonato il primo campanello rispetto a Dio?’, ha aggiunto: "Nel momento in cui fui rapita, iniziando la camminata, iniziai a pensare: io sono venuta a fare volontariato, stavo facendo del bene, perché è successo questo a me? Qual è la mia colpa? È un caso che sia stata presa io e non un’altra ragazza? È un caso o qualcuno lo ha deciso? Queste prime domande credo mi abbiano già avvicinato a Dio, inconsciamente. Ho iniziato da lì un percorso di ricerca interiore fatto di domande esistenziali. Mentre camminavo, più mi chiedevo se fosse il caso o il mio destino, più soffrivo perché non avevo la risposta, ma avevo il bisogno di trovarla". E ricorda anche un altro punto di svolta: "Un altro momento importante è stato a gennaio, ero in Somalia in una stanza di una prigione, da pochi giorni. Era notte e stavo dormendo quando sentii per la prima volta nella mia vita un bombardamento, in seguito al rumore di droni. In una situazione di terrore del genere e vicino alla morte iniziai a pregare Dio chiedendogli di salvarmi perché volevo rivedere la mia famiglia; Gli chiedevo un’altra possibilità perché avevo davvero paura di morire. Quella è stata la prima volta in cui mi sono rivolta a Lui".

"La fede ha diversi gradi e la mia si è sviluppata con il tempo. Sicuramente dopo aver accettato la fede islamica guardavo al mio destino con serenità nell’anima, certa che Dio mi amasse e avrebbe deciso il bene per me". "Quando provavo paura per l’imminenza della morte o ansia per non avere notizie della mia famiglia e del mio futuro, trovavo consolazione nelle preghiere. Più aumentava la mia fede e più - quando ero triste - chiedevo a Dio la pazienza e la forza, chiedevo a Dio che rafforzasse ulteriormente la mia fede", dice nell'Intervista.

 

 

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