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Tornano i violenti. Minacce e chiodi No-Tav: autunno da anni di piombo

Chiodi da guerra sull'autostrada percorsa dalla polizia per arrivare al cantiere della Tav. Con la crisi alle porte tensioni e violenze possono solo peggiorare

Riccardo Mazzoni
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L’allarme per l'autunno che si profila caldissimo - con la crisi economica che rischia di trasformarsi in una drammatica emergenza sociale - è condiviso persino da settori della maggioranza, anche se il premier continua nella narrazione autocelebrativa e rinvia proprio all'autunno la soluzione dei problemi. Eppure già in queste settimane ci sono stati segnali preoccupanti, con minacce esplicite di morte ad esponenti confindustriali e sindacali che non andrebbero assolutamente sottovalutati. Per tacere della recrudescenza di fenomeni che sembravano dimenticati: l’altra notte qualcuno ha disseminato di chiodi a tre punte l’autostrada A32 dalle parti di Bardonecchia, dove stava passando la colonna di mezzi della polizia diretta al cantiere Tav di Chiomonte. Nessuno si è fatto male, ma sarebbe potuta essere una tragedia.

Ho ritrovato in archivio una relazione dei servizi segreti, presentata al Parlamento nel marzo 2013, che contiene sorprendenti - ma non troppo - elementi di estrema attualità. Cosa dicevano allora i servizi? Che il prolungarsi della crisi economica aumenta i fattori di rischio sul fronte dell’eversione e del terrorismo. Che «se la situazione economica non migliora, c’è il rischio concreto di un innalzamento delle tensioni sociali e dell’intensificazione delle contestazioni nei confronti di rappresentanti politici e sindacali, ritenuti incapaci di risolvere i gravi problemi che affliggono il Paese». Allora come oggi, il massiccio ricorso agli ammortizzatori sociali contribuisce indubbiamente a contenere le tensioni, ma in assenza di segnali di un’inversione del ciclo congiunturale, l’aumento delle difficoltà occupazionali e delle crisi aziendali «potrebbe minare progressivamente la fiducia dei lavoratori nelle rappresentanze sindacali, alimentare le rivendicazioni spontanee e acuire la tensione sociale, offrendo nuove opportunità ai gruppi dell’area antagonista per intercettare il malessere e il dissenso, incanalandolo verso ambiti di più elevata conflittualità».

 

Basterebbe fare copia e incolla di quella relazione, dunque, per descrivere i possibili sviluppi della crisi attuale, con un carico da novanta in più rispetto ad allora: il Paese che non cresce da dieci anni e le conseguenze del Covid e del lockdown, che hanno dato il colpo di grazia a un ceto medio già impoverito e ora sull'orlo di un collasso storico. Una miscela che rischia di esplodere quando i soldi per la cassa integrazione saranno finiti insieme al blocco dei licenziamenti, col neosegretario della Uil che pretenderebbe di aumentare i salari a pari orario di lavoro. Beppe Grillo si è più volte vantato di avere scongiurato in questi anni - grazie alla contestazione urlata ma pacifica del suo Movimento - una deriva eversiva del malessere sociale, ma ora i Cinque Stelle sono al governo e rischiano anch'essi di finire travolti dalla contestazione d'autunno.
Finora il comodo bersaglio dell'eversione rossa era stato il «fascista» Salvini: buste con proiettili, scritte che invitavano esplicitamente a sparargli contro, volantini inneggianti alla lotta armata accompagnati da un'escalation di attentati incendiari alle sedi della Lega. Uno schema ideologico da anni Settanta, insomma, che ora ha fatto, se così si può dire, un salto di qualità, mettendo nel mirino direttamente il mondo del lavoro. Da D'Antona a Biagi, per il terrorismo rosso i giuslavoristi - insieme a capitani d'industria e sindacalisti scomodi - sono sempre stati i primi nemici da eliminare in nome di una declinazione estremista e distorta degli interessi della classe operaia. Non è certo un caso, quindi, se all'ex segretario della Fim Cisl Bentivogli sia stata recapitata una busta con tre cartucce di pistola e la minaccia di «festeggiare insieme l'accordo di Pomigliano».

E che la stessa sia toccata ai leader confindustriali di Bergamo e di Brescia Scaglia e Bonometti («una bara in più non si nega a nessuno»), tanto che il presidente Bonomi è arrivato a dire che ormai «siamo in un momento storico del Paese in cui è tornato pericoloso affermare le nostre idee e i nostri valori». Questi sono purtroppo i frutti avvelenati del clima di odio verso l’impresa e gli imprenditori fomentato in queste ultime settimane. L'ultima cosa che l'Italia non può permettersi è il ritorno a stagioni tragiche in cui il mondo del lavoro era il bersaglio preferito dell’eversione. Sarebbe quindi indispensabile uno sforzo comune di coesione per evitare che le tensioni sociali seguite alla crisi del Covid sfocino in manifestazioni di intolleranza e spalanchino le porte alla violenza. Ma i preoccupati allarmi di Bonomi su un possibile ritorno agli anni di piombo sono finora caduti nel vuoto. Anzi, alla rivendicazione del diritto di critica per i ritardi del governo sono seguiti solo il silenzio irritato del governo e gli attacchi durissimi da parte del giornale di riferimento dei grillini.

 

 

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