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Il rapporto della Corte dei Conti: disarmati davanti al coronavirus

Per i giudici "si è deospedalizzato troppo" e "l'insufficienza delle risorse ha permesso il dilagare della malattia e un prezzo alto in termini di vite"

Antonio Sbraga
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Il coronavirus ha invaso un’Italia lasciata troppo sguarnita di quelle necessarie trincee sanitarie in grado d’arrestare l’avanzata del Covid-19 lungo lo stivale. Una disfatta, che la Corte dei conti ricostruisce quasi in termini militari: «L’insufficienza delle risorse destinate al territorio ha reso più tardivo e ha fatto trovare disarmato il primo fronte che doveva potersi opporre al dilagare della malattia e che si è trovato esso stesso coinvolto nelle difficoltà della popolazione, pagando un prezzo in termini di vite molto alto», scrivono i giudici contabili nel «Rapporto 2020 sul coordinamento della finanza pubblica». Nel quale si sottolinea che «la crisi ha messo in luce anche, e soprattutto, i rischi insiti nel ritardo con cui ci si è mossi per rafforzare le strutture territoriali a fronte del forte sforzo operato per il recupero di più elevati livelli di efficienza e di appropriatezza nell’utilizzo delle strutture di ricovero». 

Ma anche gli stessi ospedali non godono di ottima salute: negli ultimi 8 anni hanno, infatti, subito «una flessione del 7,1 per cento del complesso dei posti letto. È indubbio che, con la flessione registrata a 3,2 posti per 1.000 abitanti, il nostro si pone ben al di sotto degli standard di Francia e Germania che hanno, rispettivamente 6 e 8 posti, accomunando la nostra condizione a quella di Spagna e Gran Bretagna con 3 e 2,5 posti per mille abitanti». «Il timore da più parti espresso - spiega il Rapporto - è che il processo che ha portato alla riduzione della dotazione di posti letto sia stato troppo netto. Che si sia, in altre parole, deospedalizzato troppo». Soprattutto nelle aree interne più spopolate, dove «la chiusura dei piccoli presidi crea problemi di accesso alle cure, specie nelle aree extraurbane, che dovevano essere controbilanciate da servizi territoriali più adeguati», sottolinea la Corte dei conti. Perché «non investire adeguatamente sul territorio è destinato a ripercuotersi negativamente sugli ospedali, oltre a far gravare sugli stessi operatori un onere inaccettabile in termini di vite umane. Si dovrà comprendere, per orientare le scelte future, quanto una struttura territoriale messa nelle condizioni di fornire una assistenza adeguata e di intercettare i segnali epidemiologici con maggior rapidità avrebbero potuto contribuire ad un più efficace contenimento della diffusione della pandemia». 

Il coronavirus si è ritrovato ad attaccare un corpaccione, quello del Servizio sanitario nazionale, già debilitato da una perdita, negli ultimi 10 anni, «di circa 41.400 lavoratori: il personale medico si è ridotto di oltre 3.100 unità (-2,9%), mentre l’infermieristico di poco meno di 7.400 (-2,7%). La riduzione è stata particolarmente forte nel Molise, nel Lazio e in Campania a cui sono riferibili riduzioni superiori tra il 9 e il 15 per cento», quanti...

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