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Amore e passione, così nascono i nostri vini

Paolo Zappitelli
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Se andate a visitare la cantina, un gioiellino sulle colline del Monferrato, la troverete sicuramente in vigna: è lei che sta «sul campo», segue le piante, controlla i grappoli, le fioriture, il terreno. Una passione che Silvia Scagliotti, monferrina doc come ama definirsi, proprietaria insieme al marito Claudio Gemme della cantina «Cascina La Polastra» a Capriata D’Orba, in provincia di Alessandria, ha respirato in famiglia, dal nonno e dai genitori. «Ogni vendemmia era una festa - racconta - partecipavano tutti, anche io che ero la più piccola, avevamo le vigne a facevamo il vino per noi. La mia passione nasce da lì».
E da lì probabilmente è nata anche la voglia di entrare nel mercato, di iniziare a venderlo.
«Certo, però ha influito anche mio marito, pure lui è nato in una famiglia che faceva il vino. Nel 2019 abbiamo fatto il salto e abbiamo deciso di creare un’azienda nostra».
Giovanissimi, quindi. Come è stato entrare in un mondo così agguerrito come quello del vino?
«Non facile, per ora abbiamo alle spalle solo quattro vendemmie. Siamo un’azienda piccola, con 7 ettari e una produzione di 70mila bottiglie, ma in Italia siamo riusciti a inserirci abbastanza bene. Ora abbiamo messo le basi anche per l’estero, quest'anno saremo al ProWein di Dusseldorf».
Quattro i vini che producete, un Barbaresco docg, un Gavi docg, un Nebbiolo doc e un Cuvée brut. Tutti vitigni autoctoni, è una scelta?
«Sì, preferiamo puntare sulle nostre tipicità, quelle che da sempre si coltivano nel Monferrato. Però nel nuovo vitigno abbiamo iniziato la pratica del sovescio. In pratica in un filare sì e in uno no abbiamo messo a dimora delle piantine di legumi che servono a rendere più fertile il terreno. E oltretutto sono anche belle da vedere. Il mio sogno è che da lì riusciremo a fare un vino esclusivo, magari un cru».
Però, mi par di capire che la vostra passione è soprattutto il Cortese Gavi.
«Sì, anche perché qui, su queste colline il terreno cambia completamente da una frazione all’altra. E regala al vino sfumature infinite, diverse l’uno dall’altro».
Insomma ha il Monferrato nel cuore. Che cosa rappresenta per lei?
«Difficile definirlo, per me è tradizione, ricordi, i miei nonni, le vendemmie dell’infanzia. E poi gli infernot, i cunicoli scavati nel tufo sotto le cantine dove si conservava il vino. La temperatura era costante e perfetta. Oggi non si usano più per motivi sanitari e legislativi ma noi ne abbiamo ancora uno sotto la casa dei nonni a Vignale».
 

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