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Amanda Knox in lacrime accusa media e pm: "Guede uccise Meredith"

È commossa, intimorita e non trattiene le lacrime: l'esordio di Amanda Knox, prima condannata poi assolta in via definitiva per il delitto di Perugia, ritornata in Italia dopo 8 anni, arriva con voce tremante: «Temo mi mancherà il coraggio», «ho paura di nuove accuse, di essere incastrata e derisa». Ma poi le sue parole tagliano l'aria nel silenzio della platea. E i media sono sul banco degli imputati, 'colpevolì di aver «contaminato l'inchiesta» o «corrotto» la giuria dipingendola come una «psicopatica» o «una drogata puttana», distorcendo la realtà spesso per incassare gli «introiti» da una storia sensazionalistica . Una «colpevole fino a prova contraria» vittima di «speculazioni sfrenate» e di «fantasie da tabloid». Anni duri in prigione («un ambiente malsano e imprevedibile»), tanto da pensare anche al suicidio. La 31enne di Seattle ribadisce la propria innocenza, si ferma, si asciuga le lacrime, sorseggia l'acqua per riprendersi e continua per 45 minuti tra ricordi e considerazioni. Capello sciolto, vestito rosa smanicato, Amanda si rivolge in italiano alla platea del Forum Monzani di Modena per il suo attesissimo intervento sul processo penale mediatico nella giornata conclusiva del Festival della giustizia penale. E forse rielaborata la sua vicenda processuale, alla fine, la rabbia scivola via per trasformarsi nella ricerca di comprensione. «Non sono un mostro. Sono semplicemente Amanda», la vera giustizia «c'è con la compassione» quando «il dolore e l'inimicizia» cedono il passo al «coraggio» di un confronto a cuore aperto: è la 'mano tesà rivolta al pm che la incriminò («spero in un confronto faccia a faccia») e idealmente al popolo italiano. Si tratta del terzo soggiorno nel nostro Paese. Il primo a 14 anni con la famiglia da turista, poi il ritorno a 20 anni rubati dove «ho incontrato la tragedia e la sofferenza. Nonostante ciò, o forse per questo, l'Italia è diventata parte di me». Emozioni contrastanti che si intrecciano con la controversa vicenda processuale di cui la Knox, insieme all'allora fidanzato, Raffaele Sollecito, è stata protagonista. «Gratitudine» per la Corte di Cassazione (l'assoluzione definitiva «per non aver commesso il fatto» è del 2015) ma nessuno sconto ai media e allo Stato italiano: «Non lo assolvo per avermi processata per otto lunghi anni con nessuna prova e con il vero assassino già dietro le sbarre». Proprio l'ivoriano Rudy Guede condannato in via definitiva per l'omicidio di Meredith Kercher (ora in una comunità di recupero dopo nove anni di detenzione) è finito nel mirino della ragazza americana: «Il 1 novembre 2007 - ha detto - un ladro di nome Rudy è entrato nel mio appartamento e ha violentato e ucciso Meredith. È stato catturato processato e condannato. Eppure un gran numero di persone non ha mai sentito il suo nome e tutta l'attenzione dei media si è concentrata su di me». La studentessa inglese, Meredith Kercher, coinquilina nella villetta di via della Pergola a Perugia, assassinata con un taglio alla gola è stata definita più volte «un'amica». «Alcuni hanno affermato - è un passaggio dell'intervento della 31enne americana - che solo stando qui con la mia presenza sto traumatizzando nuovamente la famiglia Kercher e profanando la memoria di Meredith. Si sbagliano. E il fatto che io continui, nonostante la pronuncia della Cassazione, ad essere ritenuta responsabile in questo modo per il dolore dei Kercher e per la reputazione di Perugia - ha scandito Amanda Knox - dimostra quanto possono essere potenti le narrazioni false e come possano minare la giustizia, specialmente quando sono rinforzate ed amplificate dai media». Parla anche al plurale la ragazza di Seattle. «Raffaele e io siamo stati marchiati dai titoli giornali, per sempre colpevoli al giudizio dell'opinione pubblica. Sono stata dichiarata innocente, eppure so che sarò sempre legata alla tragedia della morte della mia amica. Vengo insultata ogni volta che mi addoloro per lei. Vengo insultata come se il mio essere viva, il mio stesso respiro fosse un affronto alla memoria di Meredith». Media, dunque, sotto il fuoco della statunitense che ne ha riconosciuto tuttavia anche un ruolo potenzialmente positivo nella ricerca della verità: «sono strumenti non buoni o cattivi di per sè ma giusti quanto e come le persone che li maneggiano». (agenzia Vista / Alexander Jakhnagiev)

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