guerra civile
Venezuela nel caos. Guaidò invoca la rivolta militare
Un gruppo di militari venezuelani si ribella al presidente Nicolas Maduro, schierandosi con l’oppositore Juan Guaido. Dopo tre mesi di braccio di ferro tra il governo di Caracas e il presidente ad interim autoproclamato, Guaido invita i militari a schierarsi contro il potere chavista e Maduro denuncia «un tentativo di golpe». E il raduno inizialmente pacifico - ma subito tesissimo - di dimostranti pro-Guaido fuori dalla caserma La Carlota di Caracas è presto sfociato in violenze, con almeno un soldato pro-Maduro colpito da spari e vari manifestanti pro-Guaido travolti e feriti da un blindato delle forze armate. Dall’Onu, il segretario generale Antonio Guterres ha lanciato l’appello a «evitare ogni violenza» e «fare passi immediati per riportare la calma». È dal 23 gennaio che il Venezuela è affossato nella più grave crisi politica della sua storia, con l’economia in stallo, la moneta crollata e mancanza di beni fondamentali. Il Paese ha de facto due ’presidentì: Guaido, deputato di centrodestra riconosciuto come presidente ad interim da Stati Uniti e una 50ina di nazioni, e Maduro, socialista che ha avviato il suo nuovo mandato a gennaio ed è appoggiato da Cina e Russia. Dopo le manifestazioni violente, gli scontri ai confini sull’accesso degli aiuti umanitari stranieri, gli arresti degli oppositori, martedì la tensione sale a un nuovo livello. L’oppositore Leopoldo Lopez annuncia di essere stato liberato da militari che hanno tradito Maduro, mentre si trovava agli arresti domiciliari condannato a 13 anni di carcere per istigazione delle proteste del 2014 in cui morirono 43 persone. Ha poi parlato dalla base militare La Carlota, da cui anche Guaido ha lanciato l’appello alla diserzione dei militari. «Popolo del Venezuela, è iniziata la fine dell’usurpazione. In questo momento mi trovo con le principali unità militari della nostra Forza armata, dando inizio alla fase finale dell’Operazione libertà», ha dichiarato Guaido. Intanto, gradualmente una folla di sostenitori dell’oppositore ha risposto all’appello di radunarsi al ponte Altamira, all’ingresso della capitale e vicino al La Carlota. Sono dapprima volati i lacrimogeni contro i circa 3mila manifestanti pro-Guaido, poi un blindato ne ha travolto un gruppo causando vari feriti. E un soldato è stato ferito a colpi d’arma da fuoco, azione per cui il governo ha puntato il dito contro «i leader politici dell’opposizione». Guaido ha poi fatto di nuovo ricorso a Twitter per annunciare che «non c’è più ritorno» nella spinta per destituire il successore di Hugo Chavez. Ma il governo ha sminuito, sottolineando che non si tratta di un golpe, bensì di un «tentativo di golpe». E Maduro ha assicurato di avere «la totale lealtà» delle sue forze armate. L’escalation ha moltiplicato le reazioni globali. La Spagna ha chiesto di evitare «spargimento di sangue», opponendosi al golpe e chiedendo elezioni. Dagli Usa il consigliere per la Sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Bolton, ha affermato che «la fine dell’usurpazione del potere da parte di Maduro è possibile», mentre il dipartimento Affari consolari ha emesso un’allerta di viaggio: «Do not travel», non viaggiare. Invitando cioé gli americani a «lasciare il Paese il prima possibile o stare al riparo», senza che per ora siano previsti piani di evacuazione. Il presidente colombiano Ivan Duque ha chiesto ai militari venezuelani di unirsi a Guaido, mentre la Colombia ha domandato una riunione urgente del Gruppo di Lima (13 Paesi latinoeamricani e Canada). Cuba e Bolivia hanno condannato «il tentativo di colpi di Stato» e le ingerenze esterne. Dall’Italia, i senatori cinquestelle della Commissione Affari esteri di Palazzo Madama hanno espresso «preoccupazione», invitando al «dialogo» e ad evitare «la forza». Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha da parte sua invitato alla «soluzione pacifica» che comprenda «l’allontanamento del dittatore Maduro», dicendosi «vicino» ai venezuelani e a Guaido.