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Il centrodestra non ripeta a Roma la pagliacciata del 2016

Roberto Carlino, l'immobiliarista che non vende sogni ma solide realtà. Claudio Lotito, il presidente della Lazio calcio. I magistrati Otello Lupacchini e Simonetta Matone. I volti televisivi Luca Barbareschi e Rita Dalla Chiesa. E ancora, l'ex presidente di Acea Giancarlo Cremonesi, il generale dell'Arma dei Carabinieri Leonardo Gallitelli. I giornalisti Paolo Liguori e Bruno Vespa. E, se non vi bastasse, l'ex governatore del Lazio Francesco Storace. Il giurista “teocon” Alfredo Mantovano. La presidente dell'Associazione Donne marocchine in Italia Souad Sbai. L'ex sindaco di Verona Flavio Tosi. L'immancabile senatore Antonio Razzi. L'ex capo della Protezione Civile Guido Bertolaso. L'ex presidente della Camera Irene Pivetti, l'ex ministro degli Esteri Franco Frattini, il deputato di Fratelli d'Italia Fabio Rampelli, il senatore di Forza Italia Francesco Aracri e l'ex prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro. Infine, naturalmente, Alfio Marchini e Giorgia Meloni. Tutti questi personaggi hanno solo una cosa in comune. L'essere entrati, volenti o meno, nel totocandidature del centrodestra per le elezioni del 2016 per il Campidoglio. Uno psicodramma che – tra ripicche, gelosie, secondi fini, vendette – si trascinò per circa otto mesi. Col solo risultato di azzoppare tutte le candidature e mandare al ballottaggio Roberto Giachetti del Pd e Virginia Raggi del MoVimento 5 Stelle.   Ora, è vero che alla fine di questa consiliatura, salvo imprevisti, mancano ancora due anni. Ma gli appetiti per il Campidoglio, nel centrodestra pigliatutto, stanno crescendo. E nessuno sembra voler fare un passo indietro. Giorgia Meloni dice che per la candidatura non si potrà prescindere dal partito con più consensi nella Capitale, il suo. Matteo Salvini svela di avere già una serie di nomi pronti, da celare per non bruciarli. Silvio Berlusconi idem, anche se parla di un solo nome. Ovviamente ancora nascosto.   Sarebbe bene, allora, che i leader del centrodestra tenessero a mente la lezione del 2016 e, prima di cominciare con la ridda di candidature più o meno estemporanee, si mettessero d'accordo tra loro su quale sarà lo schema da adottare per la Capitale. Che avrà bisogno di un sindaco credibile e sostenuto convintamente da tutti i suoi partner. E certamente non di diventare di nuovo il terreno di bracci di ferro politici che con i problemi di Roma c'entrano poco. Il 2021 è ancora lontano. Ma i precedenti insegnano che è meglio attrezzarsi per tempo.

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