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Luca Pellegrini spiega i segreti della sua squadra: "Lazio amore mio"

Daniele Rocca
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Come una seconda pelle. Più di vent'anni passati a desiderare di indossare quella maglia. Luca è riuscito a coronare il suo sogno il 31 gennaio 2023: concluso il prestito di sei mesi dalla Juve, la Lazio ha trovato l'accordo con i bianconeri per prolungare la sua permanenza per altre due stagioni e da giugno 2025 sarà riscattato a titolo definitivo. Questa è casa sua. E nessuno meglio di Pellegrini poteva raccontarci la nuova Lazio di Baroni.

Qual è stato il vostro segreto finora?
«Forse dovreste chiederlo al mister. Stiamo lavorando bene, così come abbiamo fatto in ritiro. C’è un percorso che non si ferma a quel mese. La cosa che ci dà questa forza è un pò di entusiasmo. Dobbiamo essere bravi a non oltrepassare la linea che divide entusiasmo e presunzione».

Ha trovato un limite a questa squadra?
«In realtà di limiti ne abbiamo tanti. Siamo una squadra giovane, dobbiamo puntare sempre a migliorare. Sappiamo come nasconderli, o comunque conoscerli per migliorare ogni giorno. All’inizio dell’anno tante parole sono state spese, della Lazio non ne parlava nessuno. Ma a noi piace così, non vogliamo stare in questa orbita, le pressioni le lasciamo agli altri».

Dentro lo spogliatoio la guardate la classifica?
«Finora è stato un campionato bello, sei squadre in due punti. La Serie A è molto competitiva, secondo me è seconda solo alla Premier League, anche se non ci ho mai giocato. Il calcio si sta modernizzando, anche una squadra cosiddetta piccola non ti regala niente, anzi prova anche a farla e ti mette in difficoltà».

Come è scattata la scintilla con Baroni?
«Il mister è stato bravo, è una persona molto intelligente e molto empatia. Ha tutte le qualità per fare bene con una squadra come la nostra, ha toccato i punti giusti, si è creato subito il feeling. Noi come gruppo siamo sempre stati coesi e forti, sotto tanti punti di vista il mister però ci ha dato una mano. Nei punti ciechi ci ha fatto vedere la luce»

Non va sottovalutato l’aspetto tattico...
«È stato bravo a esaltare le caratteristiche di questo gruppo. Un allenatore bravo è quello che capisce le qualità del gruppo a disposizione. Lazio offensiva? Questa idea mi è sempre piaciuta, a parte per gusto personale, ho fatto una scuola importante prima con Allegri, poi l’esperienza all’estero con l’Eintracht e infine Sarri. Per quanto mi riguarda è questa la filosofia di calcio che mi piace: adesso si difende tutti e si attacca tutti».

Una valutazione sui nuovi arrivati?
«Abbiamo preso dei giocatori importanti. Lo stanno dimostrando durante la stagione, ognuno ha il suo ruolo. La cosa positiva è che non c’è differenza tra i calciatori che giocano 90 minuti o 5 minuti, l’impatto è sempre lo stesso. Questo è il pregio maggiore: siamo gruppo, poi è normale che se uno gioca 38 partite dall’inizio è più contento di chi ne gioca solo cinque. Io da tifoso certe cose me le posso fare andare bene, però i nuovi stanno dando il massimo».

Quante differenze ci sono tra l’idea di calcio di Baroni e quella di Sarri?
«È totalmente un’altra squadra. Non voglio schierarmi né da una parte né dall’altra. Sarri mi ha insegnato tanto, però è cambiata drasticamente. Lo si vede anche dai risultati. Non è più possibile che lo stesso giocatore faccia tre partite da 90 minuti in una settimana, o almeno non gli stessi undici, mantenendo la stessa intensità sia fisica che mentale».

Obiettivo personale a breve e a lungo termine?
«Quando hai davanti un giocatore come Tavares, che penso al momento sia il miglior terzino d’Europa per rendimento, e non parlo di statistiche. Non ha rivali. È normale che uno deve anche guardare il dato oggettivo e mettersi nei panni dell’allenatore. Quello che posso fare io è rimanere concentrato su di me, allenarmi al massimo e farmi trovare sempre pronto quando vengo chiamato in causa».

Però in questi 12 mesi è cambiato anche il sentimento all’interno dello spogliatoio...
«Innanzitutto vincere aiuta a vincere, questo me l’hanno insegnato alla Juve. La cosa che non deve mancare è la fame, come quando ho fatto quella scivolata col Porto. Bisogna lottare su ogni pallone, quell’atteggiamento lì in questo gruppo vedo che sta crescendo nel modo giusto».

Quanto ti giri verso il compagno vedo la stessa fame negli occhi?
«Io muoio per te, tu muori per me. L’esempio è Pedrito che nelle ultime partite ha corso come un ragazzino di vent’anni».

L’emozione di giocare contro Nesta e il ricordo di un simbolo come Mihajlovic?
«È difficile parlare di uno come Nesta, lo stesso dico di Mihajlovic. Io ho avuto la fortuna di conoscerlo, si vede quando una persona ha uno spessore umano. Un’icona come lui non manca solo al calcio, ma al mondo intero. Servirebbero più Sinisa in questo mondo».

Il sentimento di vestire la maglia della Lazio per la prima volta?
«Cresce giorno dopo giorno, non ti abitui mai. La Lazio non è una cosa personale. La Lazio è mia ma anche di altre centinaia di migliaia di persone. Più condividi più è esponenziale, dai tifosi ma anche ai compagni quando stai dentro al campo».

A proposito, come ha fatto Rovella a diventare così laziale in poco tempo?
«L’entusiasmo che ti porta una piazza del genere è tanto. Lui ci si è calato dentro subito. Un po’ di merito è anche mio: i primi giorni che è venuto a Roma stavamo sempre insieme, gli ho fatto anche da Cicerone. Abbiamo fatto un po’ di scuola di tifo: gli ho fatto vedere i video delle partite che sono entrate nella storia della Lazio. Ma lui non solo con me, anche con altre persone che ha conosciuto gli è cresciuta questa passione che a volte meraviglia anche me. È diventato un Ultras in campo».

Che cosa rappresenta per lei giocare il derby con la maglia giusta?
«Io l’ho vissuto sia da una parte che dall’altra e l’ho vissuto ancora prima quando nemmeno giocavo. Senza voler togliere nulla all’altra parte, viverlo con questa maglia è totalmente un’altra cosa a livello emotivo. Prima e durante c’è questa aria di tensione, poi scarichi tutta l’adrenalina che si era accumulata durante la settimana. Io vado controcorrente e dico di non caricare troppo i giovani e di viverla con un po’ più di leggerezza, anche per il gruppo che siamo adesso. Fino a questo momento è stata questa la nostra forza. Poi il mister sarà ancor più bravo di me a prepararla».

Dove era il 26 maggio 2013?
«Io ero uno dei raccattapalle. In quella partita c’erano sia i ragazzi del settore giovanile della Lazio che della Roma: anche i nostri spogliatoi erano divisi».

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