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Lazio, rabbia e protesta di 10mila tifosi: “Basta con la gestione di Lotito”

Luigi Salomone
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Un bagno di Lazio. Amore, passione, fede: allo stato puro. Avvocati in giacca e cravatta, bambini con la maglia di Immobile, qualche nonno irriducibile e tante donne, di ogni età. Il popolo biancoceleste si ritrova in un caldo pomeriggio di giugno per manifestare la propria rabbia contro l’attuale presidente. L’imputato è il senatore Claudio Lotito, colpevole di aver azzerato i sogni dei laziali con una gestione pragmatica e, a volte, arrogante. Qualche coro pesante, decine di striscioni (comparsi anche a Parigi, New York e Londra: «Liberaci dal male») e cartelli contro quello che da gestore si è trasformato in tiranno per loro, 10-100 bandiere al vento (poco) per ribadire il punto di vista dei laziali. Un’invasione pacifica intorno allo stadio Flaminio, l’impianto dove tutti sperano che un giorno tornerà a giocare il più antico club della Capitale, nato 124 anni prima sulle rive del Tevere, a due passi dal luogo del ritrovo. Alla fine sono 10.000, numero approssimativo anche se quando verso le 20 parte il corteo verso Ponte Milvio bloccando tutta viale Tiziano sembrano molti di più.

 

 

C’è chi ha chiuso il negozio ed è corso a fare presenza, chi è scappato da lavoro, chi si è presentato col passeggino, chi con il cane imbandierato. Tutti uniti dallo stesso sentimento d’amore, tutti prigionieri di una fede. Il 19 luglio sarà un ventennio di Lotito al timone e, con risultati sportivi migliori di quelli della storia, esclusa l’epopea cragnottiana, verrebbe da chiedersi quali e quanti errori deve aver commesso il presidente per meritarsi tanto odio. L’anno scorso 30.000 abbonati in campionato, la Champions dopo un ottimo secondo posto e un feeling ritrovato dopo anni di tensioni. Tutto ok? Rapporto ricostruito? Mai, perché Lotito come una moderna Penelope, in pochi mesi è riuscito a disfare la tela che aveva costruito con Sarri attraverso decisioni scellerate e un piano autolesionista quasi non avesse voglia di compiere il definitivo salto di qualità. E adesso, in questi giorni, al progetto di ridimensionamento che ormai appare chiaro, la partenza in un anno di Milinkovic, Luis Alberto e Felipe Anderson, il probabile arrivo di giovani, pure bravi, ma non a livello dei predecessori e un allenatore Baroni alla prima esperienza in una squadra metropolitana (nessuna contestazione per lui).

 

 

Questo contestano 10.000 anime laziali che rappresentano la maggioranza di una tifoseria pronta a urlare il proprio dissenso. Boicottaggio degli abbonamenti, diserzione dell’Olimpico, contestazione a oltranza dallo stadio: strategie diverse, di questo si parla tra tifosi che hanno esaurito i bonus concessi all’attuale gestione. Difficile capire che succederà, forse nulla, ma l’errore più grande della società sarebbe sottovalutare una manifestazione di tale portata. Perché non c’erano solo gli ultras brutti e cattivi, ma tante famiglie laziali preoccupate per il futuro del club. I tifosi chiedono rispetto e di tornare a vincere, lo hanno fatto con un bagno d’amore e un grido di dolore che non può cadere nel vuoto.

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