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Calcio, il dossier Ecr-FdI lancia l'allarme: la strategia per portare l'Islam in Europa

Il calcio come strategia di soft power nel cuore d’Europa. Il calcio che diventa strumento di diffusione della cultura islamica in Europa, con protagonisti alcuni degli Stati mediorientali nell’occhio del ciclone in quanto a rispetto dei diritti umani, libertà e democrazia. Attraverso lo sport, il calcio e i suoi ricchissimi investimenti, l’Arabia Saudita, come prima il Qatar e gli Emirati Arabi, sta cercando di ripulire la propria immagine e dar vita a un processo di penetrazione economica in Europa, che significa anche diffusione delle tradizioni religiose e culturali. Esiste, però, un reale pericolo: Stati come il Qatar, gli emirati Arabi e l’Arabia Saudita da decenni sono accusati di fiancheggiare e finanziare gruppi islamici estremisti e il denaro riversato nel calcio del vecchio continente potrebbe agevolare forme di radicalizzazione della stessa cultura islamica. Il convegno presenta una serie di approfondimenti, racchiusi in un report in cui si evidenziano le forme concrete di attuazione di questo soft power attraverso il calcio. 

“Come fenomeno di carattere sociale ed economico importante per l’Europa, il calcio può rappresentare anche uno strumento di soft power tramite cui gli Stati musulmani, attraverso massici investimenti, possono favorire l’islamizzazione dell’Europa stessa. Sono necessari adeguati controlli sul fiume di denaro già in circolazione in Europa e che, verosimilmente, è destinato ad aumentare nei prossimi anni. Una forma di penetrazione del mondo islamico in Europa che dobbiamo stare attenti a non far diventare una attività per agevolare fenomeni di radicalizzazione”, afferma l’europarlamentare di Fratelli d’Italia, Nicola Procaccini, copresidente del gruppo ECR al Parlamento europeo, promotore del convegno.

  

Dai fenomeni e dati presentati emerge come lo sport, e il calcio in particolare attraverso sponsorizzazione ed acquisto di club, rappresentano una formidabile forma di investimento per realizzare almeno due grandi obiettivi per gli Stati arabi. Da un lato, questi investimenti sono utilizzati per diversificare l’economia lontano dal petrolio e dai settori legati alle proprie materie prime. Investire nello sport per numerosi Paesi arabi è una vera e propria necessità strategica, una via quasi obbligata per poter crescere al di fuori del Golfo. Dall’altra, c’è lo sportwashing: Stati in cui molti dei diritti umani basilari non vengono rispettati hanno bisogno di ripulire e accreditare la propria immagine a livello internazionale e il calcio è uno straordinario strumento per attrarre consensi, simpatie presso le opinioni pubbliche e aprire o rafforzare canali diplomatici, per essere meglio accettati dall’opinione pubblica e dalle istituzioni dei Paesi occidentali. E’, appunto, il cosiddetto sportwashing.  

Ma c’è il rischio che tutto questo possa anche favorire e rafforzare gruppi islamici estremisti e la loro attività di proselitismo e radicalizzazione in Europa. In tal senso, un documento dei “Fratelli Musulmani” pubblicato lo scorso anno, spiega bene il processo di islamizzazione dell’occidente in corso. E’ un documento di cento pagine dell’Isesco (Islamic Educational, Scientific and Cultural Organization), dove viene propugnata la “la tecnica dell’usura” come strategia per sovvertire i valori occidentali, ricorrendo cioè non alle armi ma a una sempre più incisiva penetrazione economica e sociale. Secondo la ricercatrice del Cnrs (Centro nazionale di ricerca scientifica francese), Florence Bergeaud-Blackler, per i Fratelli Musulmani, la potenza tecnologica ed economica dell’Europa, e più in generale dell’Occidente, rende improbabile il successo di una conquista militare. Si ricorre, quindi, ad altre forme di penetrazione nella società europea. 

Molti segnali in tal senso devono preoccupare, come l’esistenza di una “Carta degli atleti musulmani per il campionato di calcio inglese, e un’apposita agenzia che, sempre in Inghilterra, tutela i calciatori musulmani e in cui la religione riveste un ruolo fondamentale.  Un altro elemento che va in questa direzione, cioè il pericolo radicalizzazione per l’Europa attraverso il calcio, è emerso in maniera inquietante in questi giorni.  

Diversi calciatori di religione musulmana, come mai avvenuto in passato, hanno sostenuto apertamente la causa palestinese, anche con forme di fanatismo religioso, in relazione ai brutali attacchi di Hamas verso Israele dei giorni scorsi. Diversi i casi: dal giocatore algerino del Nizza, Youcef Atal che, dopo aver  pubblicato su Instagram un video di un predicatore palestinese che incitava alla violenza contro gli ebrei, è stato sospeso perché coinvolto in un'indagine per "apologia del terrorismo e provocazione dell'odio"; al difensore egiziano dell’Arsenal Mohamed Elneny, che ha espresso il proprio sostegno sui social al popolo palestinese; dall’ex stella del Manchester City, l’algerino Riyad Mahrez, passato la scorsa estate ai sauditi dell’Al-Ahli, che ha pubblicato sui propri social un’immagine della Cupola della Roccia, luogo sacro di Gerusalemme conteso agli israeliani, con un versetto del Corano – “Indubbiamente, l’aiuto di Allah è vicino”; al franco-algerino Nabil Fekir, in forza agli spagnoli del Real Betis, che ha espresso il suo sostegno al popolo di Gaza su Instagram, “soggetto all’apartheid per troppo”, denunciando quindi l’occupazione israeliana della Striscia; dal difensore marocchino Noussair Mazraoui, del Bayern Monaco, che ha postato su Instagram un video in cui una voce dice: “Dio, aiuta i nostri fratelli oppressi in Palestina, affinché ottengano la vittoria” (Mazraoui ha condiviso anche post simili di altri giocatori della sua nazionale); fino ai casi di due campioni come  l’ex centravanti del Real Madrid Karim Benzema, oggi ai sauditi dell’Al-Ittihad, e Mohamed Salah, stella del Liverpool che  si sono schierato sui social per la Palestina.

Infine, mentre l’Europa sportiva si fa “comprare” dal mondo arabo, lo stesso si coalizza a supporto dell’Arabia Saudita per ottenere l’organizzazione dei mondiali di calcio 2034, come confermato dalla scelta dell'Indonesia di rinunciare alla candidatura. Questa scelta apre la strada all'appoggio unico da parte dell'AFC, la federazione del calcio asiatico, verso l'Arabia Saudita come confermato dal presidente dell'organizzazione, Shaikh Salman bin Ebrahim Al Khalifa. La candidatura dell’Arabia Saudita quasi sicuramente avrà successo, visto che le norme FIFA impediscono di giocare nello stesso continente due edizioni susseguenti della kermesse iridata, che nel 2030 sarà giocata in sei Paesi divisi su tre continenti. Questo significa che per almeno un decennio proseguiranno gli investimenti dei sauditi nel calcio e i grandi esborsi nelle campagne acquisti degli ultimi mesi potrebbero addirittura moltiplicarsi. Ma significa anche centinaia di milioni di euro che, attraverso il calcio, poterebbero in parte andare a sostenere l’Islam radicale in Europa.