l'intervista
James Pallotta torna a parlare: "Con me la Roma era al vertice, ma la Juventus faceva dei giochini... "
L’ha venduta ma continua a seguirla. James Pallotta torna a parlare della Roma che non riesce ancora a spiccare il volo con i Friedkin, sottolinea i suoi meriti del passato e i problemi del calcio italiano rimasti ancora irrisolti, recrimina su quelli che lui definisce «giochini» fatti dalla Juventus sul calciomercato finiti al centro di indagini della Figc e fa capire che adesso sta pensando di lanciarsi in una nuova avventura nel calcio. Forse proprio in Italia.
«Abbiamo fatto delle cose interessanti a Roma - ricorda un nostalgico Pallotta intervistato dalla radio americana SiriusFM - altre di cui sono meno contento. Mi piacerebbe che, quello che abbiamo costruito come club, venisse portato avanti per fare bene. Ovviamente vorrei vedere la squadra andare bene, sembra che ci sia ancora del lavoro da fare in campo e anche altri aspetti da sistemare, quindi non sono contento di vederli all'8° posto in classifica ma spero che lo capiscano».
Sente che il suo lavoro non sia stato apprezzato?
«Molti dimenticano che dal 2012 al 2020, per nove anni, nessun'altra squadra a parte la Juventus ha vinto il campionato. Nove anni consecutivi in cui il club più ricco d'Italia - dotato di un proprio stadio - ha dominato. Nonostante tutto questo, siamo arrivati secondi per tre volte e terzi in altre due stagioni, oltre a raggiungere la semifinale di Champions League. Questo è probabilmente un andamento migliore rispetto qualsiasi altra rivale che abbiamo sfidato in Italia al di fuori della Juventus. Guardo alla squadra che avevamo messo insieme e, francamente, penso che se non fosse stato per il Fair Play Finanziario che ci ha costretto a dover vendere dei giocatori, quella Roma sarebbe al primo posto oggi. Nel corso degli anni abbiamo avuto Salah, Alisson, Nainggolan, Dzeko, Pjanic, Strootman, Paredes, Emerson Palmieri, Manolas, Benatia, Marquinhos. Walter Sabatini ha fatto un lavoro incredibile nello scovare talenti prima degli altri e sfortunatamente il modo in cui funziona il mondo del calcio - vendere per rispettare il Fair Play Finanziario o i giocatori che vogliono andarsene - è semplicemente la dura realtà della vita quando non sei uno dei club più ricchi al mondo».
Quindi il Fair Play Finanziario aiuta i club più ricchi a rimanere i più forti?
«Non ci sono dubbi. Le grandi squadre sono riuscite a farla franca con ogni genere di cose. I proprietari possono ottenere tutto. Quando noi generavamo circa 200 milioni di euro di ricavi, Real Madrid o Barcellona o altri club che volevano i nostri giocatori, avevano 800 o 900 milioni di entrate. Quindi è davvero difficile competere con loro senza fare trading di calciatori. In un certo senso, abbiamo costruito un modello come quello che sta usando l'Atalanta oggi e che tutti lodano. Prendevamo giocatori, migliorando la squadra, poi li vendevamo per bilanciare i conti, sapendo che persone come Sabatini e altri potevano trovare nuovi calciatori per mantenere la squadra competitiva. Solo così abbiamo potuto fare quello che abbiamo fatto - qualificandoci sempre per la Champions League - finché non ho fatto una caz... prendendo Monchi».
Adesso è la Juve che è peggiorata o gli altri club stanno facendo meglio?
«Entrambe le cose. Pensavo che la Juventus fosse la squadra più forte degli ultimi nove anni, ma ora, quando guardi alle indagini in corso, inizio a metterlo in dubbio. Avevano il loro stadio e più del doppio dei nostri ricavi, ogni volta che avevamo un buon giocatore in rosa dovevamo preoccuparci se sarebbe arrivata la Juve a prenderselo. Lo hanno fatto con il Napoli, il Milan, lo hanno fatto con noi con Pjanic, e lo hanno appena fatto con la Fiorentina. Ma poi vedi le indagini in corso (sulle plusvalenze, ndr), non sappiamo cosa ne verrà fuori, ma sembra chiaro che la Juventus potrebbe aver fatto qualche "giochino" con il calciomercato. Altre squadre stanno andando meglio e il campionato è cresciuto, ma in generale penso che la Juventus non abbia più la stessa squadra di una volta. Guardavo la loro difesa e dicevo: "È così forte e così solida". Alcuni dei loro difensori erano delle "bestie". Non credo che abbiano lo stesso livello di giocatori oggi».
Perché è stato così difficile lavorare a Roma?
«Quando abbiamo acquistato la società, siamo stati i primi investitori stranieri nel calcio italiano. Il campionato era un disastro. Gli accordi televisivi a livello internazionale sembravano uno scherzo. C'era molta violenza e razzismo negli stadi. Sapevamo dai sondaggi che le famiglie non si sentivano al sicuro andando a vedere le partite, le presenze erano in calo. La Serie A si sentiva la migliore al mondo ma era diventata la terza o quarta Lega nel frattempo. Solo due squadre si qualificavano direttamente per la Champions, poi sono diventate quattro. Gli stadi erano vecchi allora, ora lo sono ancora di più. Il campionato italiano era probabilmente indietro di 20 anni rispetto alla Premier League. Non avevamo uno stadio di proprietà, quindi è stato difficile aumentare i ricavi e competere ed è per questo che abbiamo dovuto fare trading di calciatori. Rispetto a quello che abbiamo venduto, il club da noi acquistato nel 2011 era molto diverso. Non mi interessa cosa dicano i precedenti proprietari o altri, abbiamo ereditato una società che aveva debiti enormi, ricavi bassi ed era in bancarotta. So che mi prenderò altra mer.. dicendolo, ma abbiamo negoziato l’acquisto della Roma con Unicredit e se sto trattando con una banca, allora significa che la banca possiede quella squadra. Sono fatti. A quel tempo la Roma era un grosso affare nella città e lo è stato per sempre, mentre a livello globale non si muoveva niente. Noi abbiamo dovuto prima sistemare le questioni legate al calcio ed è stato un lavoro enorme. Al tempo stesso dovevamo costruire un club "globale" fuori dal campo».
Ora diversi investitori americani sono arrivati in Italia. Tornerà anche lei?
«Può essere, potrei tornare».
Sarebbe più facile adesso?
«È possibile. Eravamo soli in Serie A ed è stato davvero difficile, c’erano diverse fazioni e ognuna andava in una direzione diversa. È interessante quello che sta succedendo ora. Noi stiamo mettendo insieme un consistente fondo sportivo per fare cose interessanti nello sport e siamo proprio all'inizio del processo, ma penso che ci siano ancora alcune opportunità interessanti in Italia, situazioni particolari di cui non voglio parlare in questo momento, ma vedremo. È curioso che ci siano tutti questi americani che comprano squadre e io non ho parlato con nessuno di loro prima che acquistassero quei club. Avremmo potuto raccontare loro tutti gli errori che abbiamo fatto e cercare di aiutarli».
Steve Pagliuca, che ha preso l’Atalanta, è suo amico?
«Certo, facevamo parte dei primi tre azionisti dei Boston Celtics e lui ha comprato le mie quote quando le ho vendute. Perché non mi ha chiamato? Chiedete a lui, ma gli auguro il meglio lì. Ho un amico che ha comprato il Genoa ed è successo lo stesso. Ora guardo cosa sta accadendo, spero che non retrocedano in Serie B ma sembra difficile che si salvino».
Gli americani aiuteranno a valorizzare il brand della Serie A?
«Fino a quando non arriverà qualcuno forte a gestire la Lega, non lo so. Ci sono alcuni proprietari che hanno punti di vista molto provinciali, amano avere il potere – sappiamo tutti chi sono - e gli piace lavorare con i piccoli club. Per certi versi è fantastico vedere arrivare tutti questi americani in Italia, ma per altri aspetti, sembra che ognuno pensi di sapere meglio di chiunque altro come gestire una squadra. Non si rendono conto di quanto sia complicato il calcio in Europa rispetto agli sport statunitensi».
Come si fa quindi a non sbagliare?
«Devi valutare ogni aspetto del club prima di acquistarlo. Quando abbiamo iniziato con la Roma, la percezione della squadra a livello internazionale non era affatto forte. Chiaramente in città era la "grande" contro la Lazio, ma non lo era in tutto il mondo. Dovevamo passare da un piccolo sponsor tecnico alla Nike, abbiamo preso un marchio globale come Qatar Airways per il più grande accordo di sponsorizzazione nella storia della Roma, abbiamo aggiunto Hyundai, Betway e tanti altri buoni affari. Abbiamo creato Roma Cares, abbiamo lanciato la Hall of Fame. Prima di questo nessuno ha mai e poi mai fatto nulla per onorare i giocatori della storia del club. Abbiamo costruito il miglior media center in Italia, aperto la nostra stazione radio e probabilmente avevamo il primo o secondo miglior gruppo al mondo nel settore dei social e del digitale. Abbiamo comunicato in più lingue di qualsiasi altro club. Tutti queste cose, quando sei fortunato da avere una grande città come Roma, possono funzionare. Non è così facile fare lo stesso al Parma o all'Atalanta. Penso che le loro entrate commerciali siano inferiori a 10 milioni, la maggior parte dei ricavi proviene dalla tv, dalla Champions League e dal calciomercato, cose per cui ci siamo presi un sacco di mer.. addosso perché dovevamo aderire al Fair Play Finanziario. Non credo che la maggior parte delle persone fuori dall’Italia sappia dove gioca l'Atalanta o che conosca la storia del Parma. Tutti sanno dov'è la Roma. Se hai intenzione di aumentare i ricavi, devi dedicare molto tempo, denaro e sforzi a costruire ciò che abbiamo costruito noi. Sono molto, molto orgoglioso di quello che abbiamo fatto. Nessuno può obiettare sul fatto che siamo diventati un marchio di calcio globale quando ero lì».
Pronto a una nuova avventura nel calcio?
«Ci sto lavorando».