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Per Djokovic scatta lo stato di fermo. Battaglia in tribunale, così l'Australia lo vuole cacciare

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Novak Djokovic è a un passo dal perdere la partita più complicata della sua carriera, quella contro un governo australiano che non vede l’ora di rispedirlo a casa. Ma non è ancora detta l’ultima parola anche se la speranza di poter dare la caccia al suo personale decimo sigillo nell’Open di Melbourne è appesa a un filo. Quella di lunedì, quando la cancellazione del visto è stata annullata per vizi procedurali, si è rivelata una vittoria di Pirro per il 34enne serbo, mai come ora vicino a lasciare definitivamente l’Australia.

 

Com’era nell’aria, il ministro dell’Immigrazione Alex Hawke, nella mattinata italiana, ha sciolto le sue ultime riserve annunciando la seconda revoca del visto «per motivi di salute e ordine, sulla base del fatto che ciò fosse nell’interesse pubblico. Nel prendere questa decisione, ho considerato attentamente le informazioni fornitemi dal Ministero dell’Interno, dalla Australian Border Force e dal signor  Djokovic. Il governo Morrison è fortemente impegnato a proteggere i confini dell’Australia, in particolare in relazione alla pandemia di Covid-19».

 

Proprio il premier australiano è stato il primo ad applaudire la decisione di Hawke («Gli australiani hanno fatto molti sacrifici durante questa pandemia e giustamente si aspettano che i risultati di questi sacrifici vengano protetti») ma ovviamente la partita non è ancora conclusa dato che i legali di Djokovic sono subito entrati in azione anche perché il loro assistito, senza più visto, rischiava di essere di nuovo confinato al Park Hotel di Carlton prima di essere espulso. A stretto giro di posta è stata così convocata un’udienza d’emergenza della Corte del circuito federale per stabilire i prossimi passi, udienza presieduta dal giudice Anthony Kelly, lo stesso di lunedì. Lo staff legale di Djokovic, guidato dall’avvocato Nick Wood, ha ottenuto dal governo australiano che il serbo non venga posto in stato di detenzione almeno fino al colloquio, fissato per domattina alle 8 (le 22 di venerdì 14 gennaio in Italia) con i funzionari dell’immigrazione. Il fermo scatterà subito dopo, anche se Nole - che resterà sotto custodia in un luogo non identificato ma diverso dal Park Hotel per evitare il «circo mediatico» paventato dai suoi legali - potrà poi incontrare i suoi avvocati fra le 10 e le 14 ed essere presente all’udienza di domenica, scortato dagli ufficiali dell’Australian Border Force, la polizia di frontiera. Inoltre il procedimento, per volere dello stesso giudice Kelly, passerà nelle mani della Corte federale. Scongiurata, infine, l’ipotesi di espulsione almeno fino a quando non ci sarà una sentenza.

 

Quella di Djokovic, però, è una corsa contro il tempo visto che lunedì scatta lo Slam australiano (ma sono escluse rivoluzioni nel tabellone: in caso di espulsione, il suo posto sarà preso da un lucky loser senza modifiche al resto del draw). Appuntamento dunque a domenica, con l’udienza che deciderà il suo destino e chiuderà una vicenda che, come ha sottolineato anche Andy Murray, non sta facendo bene a nessuno. E anche se i suoi legali ritengono quella del ministro Hawke una decisione «palesemente irrazionale», perché figlia del timore di alimentare il fronte no-vax, non sarà facile ribaltare: la strada dei vizi procedurali stavolta non potrà essere percorsa - il ministro ha esercitato un potere previsto dalla legge e che prevede ampi margini di discrezionalità - e le ammissioni dei giorni scorsi da parte del numero uno del mondo (l’intervista da positivo concessa a «L’Equipe» e le false dichiarazioni nel modulo d’ingresso per l’Australia) lo mettono in una posizione difficilmente difendibile.

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