Novak Djokovic è un caso diplomatico: il tennista rischia tre anni fuori da Australia
Lunedì Novak Djokovic saprà se potrà mettere piede sul suolo australiano o se verrà rispedito in Serbia. Il numero 1 del tennis mondiale resterà per tutto il weekend nel Park Hotel, vicino al centro di Melbourne, lavorando con il suo staff legale al ricorso contro la decisione delle autorità australiane di non concedergli il visto per giocare gli Australian Open con una esenzione al vaccino anti Covid. Nel frattempo il campione serbo ha trascorso il Natale ortodosso nella sua camera, dove ha ricevuto diverse chiamate dalla Serbia, compresi i suoi genitori e il presidente della Repubblica, nella speranza di tirargli su il morale. Djokovic ha ricevuto anche la visita di un sacerdote della chiesa ortodossa serba della Santissima Trinità di Melbourne.
Intanto un gruppo di sostenitori si è radunato fuori dal Park Hotel, che ospita anche rifugiati e richiedenti asilo, sventolando bandiere e striscioni. Si sono mescolati con i difensori dei diritti umani che erano lì per evidenziare la difficile situazione di altre persone detenute. "Grazie alle persone di tutto il mondo per il vostro continuo supporto. Lo sento ed è molto apprezzato", ha scritto sui social il nove volte campione dell'Australian Open nel suo primo messaggio da quando è di fatto bloccato in albergo. "Grazie a voi carissimi, in tutto il mondo per aver usato la vostra voce per inviare messaggi di amore a mio marito", ha aggiunto sempre sui social Jelena Djokovic, la moglie di Djokovic. Sostegno anche dall'Associazione giocatori, che in una nota ha riferito di essere "in stretto contatto con Djokovic". Il campione "ha confermato di stare bene" e "ha chiesto di raccontare lui stesso le condizioni della sua detenzione".
La cancellazione del visto di Djokovic per entrare in Australia ha scatenato le proteste nella sua nativa Serbia, dove è considerato un eroe nazionale. Nel corso di una manifestazione, la famiglia di Djokovic ha espresso rabbia per quello che hanno descritto come un affronto al popolo serbo. "Tu, famoso primo ministro di un lontano e bel paese, ti stai comportando secondo i tuoi principi, che non hanno nulla a che fare con noi e i nostri principi", ha detto ai giornalisti il padre di Djokovic, Srdan, rivolto al Premier australiano Scott Morrison. "Noi siamo umani, e tu, signore, non lo sei", ha aggiunto. A sua volta il fratello di Djokovic, Djordje, ha detto che la star del tennis è stata portata "in una stanza sporca e senza alcun oggetto". "È stato trattato come un criminale, mentre è un uomo sano e rispettabile e uno sportivo che non ha messo in pericolo la vita di nessuno e non ha commesso alcun reato federale o legale", ha aggiunto.
La autorità australiane, però, non hanno alcuna intenzione di fare marcia indietro sulla linea dura contro i non vaccinati. "Chi arriva in Australia deve provare che è vaccinato e, in caso contrario, che non si è vaccinato per motivi medici", ha ribadito la ministra degli Interni Karen Andrews intervenuta alla tv australiana. "Djokovic non è prigioniero in Australia - ha aggiunto - è libero di lasciare il Paese in qualsiasi momento, cosa che le autorità di frontiera faciliterebbero". Così invece di prepararsi a difendere il suo titolo all'Australian Open e puntare a vincere il 21° major, Djokovic lunedì comparirà dinanzi alla Federal Circuit Court per contestare la cancellazione del visto. Secondo quanto riferisce il quotidiano australiano The Age, che cita una fonte attendibile, nel dossier presentato da Djokovic sarebbero "minime" le prove presentate dal serbo e "largamente insufficiente" è la documentazione a sostegno dell'esenzione. Se lunedì il tribunale dovesse confermare la posizione dell'ABF, Djokovic rischia addirittura di dover saltare l'Australian Open fino al 2025. Le leggi federali australiane, infatti, per chi ha subito la revoca del visto d'ingresso prevedono una interdizione dal Paese fino a tre anni.