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Totti, stadio della Roma e gli insulti alla famiglia. Pallotta svela la sua verità

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James Pallotta vuota il sacco. In un'intervista rilasciata a The Athletic, l'ex presidente della Roma affronta i nodi più spinosi dei suoi anni difficili alla guida della società giallorossa. E si toglie qualche sassolino dalla scarpa. Intanto Pallotta ha espresso il suo interesse nell'acquisto di un club di Premier League: il Newcastle United. Ecco cosa ha detto Pallotta.

 

 

 

Sullo stadio.
"Avevamo molti grandi sponsor in attesa. Coca-Cola era uno di questi. Andai ad Atlanta. Avevamo una grande formazione di sponsor che volevano essere coinvolti. Fa male non avere lo stadio. Stavamo parlando dei naming rights per 15-20 milioni di euro. Ho ricevuto un centinaio di mail di persone che mi dicevano che non vedevano l’ora di vedere lo stadio costruito, che volevano sposarsi lì. Siamo arrivati al punto di ipotizzare di metterci anche una struttura per cremare, o un cimitero per le ceneri delle persone che volevano fossero sparse sul campo. Sarebbe stata la struttura più utilizzata nell’Europa del Sud. L’Olimpico non funziona per i concerti. Se vengono gli U2 - e hanno già suonato lì - o i Rolling Stones, il costo è proibitivo perché gli Stones verrebbero con 100 e più camion per il loro tour e non c’è modo di posizionarli allo stadio. Resterebbero fuori e tutto andrebbe collegato. Non ha senso. Non avremmo fatto fare pazzie per prezzi dei biglietti del nuovo stadio. Avremmo avuto box privati e cose del genere. Sapevamo di avere una enorme opportunità di generare ricavi e francamente sarebbero stati iniettati nella squadra".

 

Sulle riunioni della Lega.
"Non ho mai visto una cosa come questa. Potevano salire sui tavoli e iniziare a colpirsi gli uni con gli altri. C’erano litigate che pensavo fossero una cosa divertente da vedere (ride, ndr). Se prendi la Premier League, c’è qualcuno che comanda la Lega, giusto? E se prendi la Liga, negli ultimi anni hai qualcuno che la comanda. In Italia, mi dici chi comandava la Lega? Ciò che era frustrante è che tutti discordavano sulle cose, non ci si avvicinava alla maggioranza e non ci si accordava su come la Lega dovesse essere guidata".

 

Sui media a Roma.
"La mia frustrazione è che i tifosi ricevessero messaggi misti da radio e giornali, che erano semplicemente falsi. Dicevano che volessi costruire lo stadio per fare soldi per me. Avevamo strutturato la holding per avere la squadra da una parte e lo stadio dall’altra, dovevamo farlo per evitare una possibile bancarotta nel caso fosse successo qualcosa. Tutto quello che abbiamo fatto per lo stadio sarebbe stato un benefit per la squadra, al 100%. Avrei potuto passare le mie giornate a smentire la m***a che usciva, praticamente tutti i giorni".

 

Sul caso Ciro Esposito.
"Feci un’intervista e dissi che avrei voluto che fosse tradotta perfettamente, perché so che a volte ci sono problemi con le traduzioni. Dissi che c’era un piccolo gruppo di fucking idiots - queste esatte parole - che danneggiavano tutti i tifosi della Roma e che era una cosa triste. E questo fu il caso".

 

Sul ritiro di Totti.
"È stato a Roma per 30 anni. Ogni giorno si alzava e andava a Trigoria. Accettammo di onorare l’impegno della proprietà precedente con un contratto da 6 anni come dirigente. Ebbi una discussione con lui, chiedendogli cosa avrebbe voluto fare nella vita dopo il ritiro. Rispondere era difficile per la Roma e lo era per lui. Una delle voci del suo biopic dice che non ci poteva credere e che avrebbe preferito pensare al passato piuttosto che al futuro".

 

Su quello che Totti voleva fare dopo il ritiro.
"Totti voleva allenare. Gli dissi che doveva capire che per allenare non solo avrebbe dovuto studiare, ma farlo per 80 ore a settimana e che non capivo perché volesse fare quello. E allora gli abbiamo portato dei professori e abbastanza rapidamente decise che allenare non fosse la cosa giusta per lui. Gli dissi che aveva uno stile di vita bello e che il contratto di 6 anni da dirigente, che per molte persone era un ottimo contratto con molti soldi, lo avrebbe abituato a uno stile di vita leggermente diverso. E abbiamo parlato di coinvolgerlo nel marketing e nello staff degli sponsor, in modo tale che avrebbe potuto aiutare a chiudere certi affari. Da possibile direttore tecnico aveva degli input, e noi veramente volevamo che ne avesse anche di più. Lo abbiamo invitato numerose volte a Boston per le riunioni, a Nantucket, a Londra".

 

 

 

Sull’addio di De Rossi.
"Cosa dovevo fare? Che c***o dovevo fare? Non avevo alcun vantaggio dal vedere ritirare due delle più importanti superstar di ogni tempo. Con lui e Totti abbiamo fatto quello che pensavamo fosse giusto per la squadra".

 

Su Zaniolo.
"100% merito di Baldini. Franco chiamò l’Inter e disse loro che non avremmo ceduto Nainggolan se non in cambio di Zaniolo. Monchi chiese chi fosse".

 

Su Monchi.
"Ci incontrammo a Londra diverse volte. Il primo incontro fu con Franco Baldini: nella sua shortlist Monchi non c’era. Mi prendo tutta la colpa di essermi fottuto da solo. Ünder e Kolarov sono stati buoni acquisti, ma ci sono stati errori costosi. Io ero un buon trader perché facevo le cose con la mia testa, anche se i miei analisti dicevano qualcosa di diverso. Ho commesso alcuni errori ma l’obiettivo è fare bene più di quanto fai male. Ma avrei dovuto fidarmi. Sono rimasto a guardare e fu un errore. Non accettava aiuti esterni, dopo un mese era chiarissimo. Sentiva di dover dimostrare che era Monchi, che non avrebbe ascoltato nessuno o considerato i nostri dati. Niente. Zero. L’altro errore che ho fatto è che, beh, avrei dovuto realizzare che si chiamava da solo Monchi…è come chiamarsi da soli Madonna. Doveva essere un campanello d'allarme. Piano B? Non puoi avere un piano B se non hai un piano A. E non penso che avesse un piano A".

 

Sull'incontro con l’Uefa per discutere del Fair Play Finanziario.

"Il meeting fu divertente, perché un paio di persone del panel stavano dormendo durante la nostra presentazione. È stata il più comprensibile possibile ed è stata fatta al meglio. Dissi che quando tutto sarebbe finito, sarei andato alla ESPN, al Wall Street Journal e a Sky a raccontare questa cosa, perché era ridicolo. Non avrei accettato queste st***te, non aveva senso che io fossi punito per ciò che avevo ereditato".

 

Sull’accordo con la Nike.
"Ci hanno detto che ci avrebbero trattato come il Barcellona, e se sei un idiota come me ci credi. Ma non fu così". 

 

Sulle critiche ricevute.
"Dal mio punto di vista, puoi volermi attaccare. Ma quando cominci a chiamare pu***ne le mie sorelle, insultare mia madre e attaccare il loro ristorante e cose del genere, si va oltre. Non fa più per me. Quello era attaccare la mia famiglia e non era un solo tweet, è stata una costante".

 

Sulla poca presenza a Roma.
"Qualcuno pensa che solo perché non ero allo stadio ogni settimana o a vedere gli allenamenti tutti i giorni non stessi lavorando per la Roma. Penso che se chiedi ai dirigenti che lavoravano per me, molti desideravano che mettessi meno le mani, ma non è una cosa per me. Mi chiedevo perché dovessi andare lì e sentire questa m***a? Non è piacevole. C’è stato un periodo in cui mi sono chiesto perché lo facessi. Ora rifletto sul mio periodo nel club e interagisco con i tifosi su Twitter. Una delle mie frustrazioni è che alcune persone non realizzino quanto io abbia amato la Roma, quanto abbia lavorato duramente per portarla al successo e quanto tempo abbia speso per far funzionare le cose".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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