Il preparatore atletico di Montella: "I calciatori non sono atleti"
Marra, ex Roma: i giocatori servono solo per lo spettacolo
“I calciatori non sono veri atleti. E al mondo del calcio interessa solo che producano spettacolo”. Lo dice Emanuele Marra, da sempre preparatore atletico nello staff di Vincenzo Montella (anche alla Roma) che esprime il suo punto di vista sugli allenamenti che dovrebbero affrontare i giocatori nell'ottica di una stagione prolungata. "Personalmente - spiega Marra a Giocopulito.it - ritengo che si sarebbe potuto dare l'assenso a ricominciare anche alle categorie inferiori, non solo alla serie A. Ovviamente con tutte le garanzie di sicurezza da riconoscere legittimamente ai calciatori e con il loro benestare. Il problema che potrebbe emergere non è legato tanto all'attività dell'allenamento in sé quanto, piuttosto, alla condizione socio-ambientale che stiamo vivendo e che potrebbe mettere i giocatori in un situazione di rischio potenziale. Mi spiego: le informazioni continue che riceviamo sull'andamento della pandemia tolgono quella serenità mentale di fondo che consente al sistema immunitario di essere attivo e quindi più capace di respingere l'eventuale aggressione del virus. Il sistema immunitario dei calciatori è mediamente buono: lo dimostra il fatto che, di quelli che hanno contratto la malattia, in pochissimi sono dovuti ricorrere a cure particolarmente intense. Ecco, il fatto di riprendere ad allenarsi in una situazione di timore e incertezza, quando non di paura di ammalarsi vera e propria, potrebbe ridurre le loro difese immunitarie e costituire un fattore di rischio in più per la salute". Poi la stoccata: "Quello che sto per dire non vale per tutti i giocatori. Addirittura ci sono dei ragazzi che più avanzano con l'età e più si impegnano a migliorare continuamente. Fatta questa debita premessa, è sicuramente vero che una ipotetica stagione sviluppata sull'arco di 12-13 mesi può essere problematica. Il motivo, però, non risiede nei carichi di lavoro che essa comporta ma, più semplicemente, nel fatto che un calciatore non è un vero atleta. Se noi andiamo a vedere tutti gli altri sport (e non prendo in considerazione quelli individuali, dove, ad esempio, i ginnasti vanno in palestra tutti i giorni dell'anno anche per otto-nove ore al giorno) ci rendiamo conto che nel calcio ci si allena veramente poco. Le due ore o poco più che si fanno quotidianamente non sono sufficienti per dare la capacità all'organismo di essere pronto a svolgere un'attività del genere: consentono solo di gestire le capacità prestazionali. Nell'NBA i giocatori hanno un preparatore personale col quale lavorano 2-3 ore la mattina per svolgere lavoro specifico individuale. Poi, nel pomeriggio, effettuano l'allenamento con la squadra". E allora, gli chiedono, perché non si aumentano le durate degli allenamenti? "Perché - risponde Emanuele Marra - è il sistema calcio che vuole che la situazione rimanga così. Alla fine la cosa che realmente interessa è che si crei lo spettacolo, che viene garantito dalle qualità individuali che i giocatori possiedono in maniera innata. Ora, prova a metterti nei panni di un ragazzo giovane, che guadagna molto bene e fa un lavoro che è la sua passione: se nessuno ti stimola a migliorarti, perché lo dovresti fare? Su questo aspetto, purtroppo, c'è l'accondiscendenza di molta parte degli entourage che seguono i calciatori: loro non vogliono l'evoluzione dei ragazzi, preferiscono fargli credere che sono loro (i membri dell'entourage) ad essere determinanti nello sviluppo della carriera. Non è vero che in Italia non ci sono più i talenti: da noi manca questa fame di miglioramento che è anestetizzata da chi gestisce il mondo del calcio professionistico. Il giocatore, alla fine, è la vittima di questo sistema: è la gallina dalle uova d'oro al quale tutti ruotano intorno per interesse personale. Non si fa niente per far crescere i ragazzi: nel momento in cui c'è talento, chi gli sta attorno fa soltanto a gara per offrirgli tutto tranne che la possibilità di perfezionarsi. Se il giovane non ha alle spalle una famiglia che gli ha trasmesso valori di riferimento importanti, che gli consentono di capire che nel medio-lungo termine sarà proprio grazie al miglioramento costante che farà una carriera solida e guadagnerà cifre importanti, egli seguirà solo chi gli offrirà di più dal punto di vista economico nell'immediato. Non c'è una cultura del lavoro: io guadagno bene, mi alleno quello che mi è richiesto, l'ambiente mi dice che va benissimo così e il tempo libero lo utilizzo per uscire e fare quello che voglio. La sera, magari, vado spesso fuori oppure gioco alla Playstation e faccio tardi: ecco, su queste basi diventa difficile gestire con successo una stagione più lunga del normale. E, lo ripeto, i giocatori sono vittime perché vivono una realtà che gli fa percepire che tutto questo sia normale. E' una vita più da showman che da sportivi veri che, nella loro routine, sono tali non solo negli allenamenti che svolgono ma anche per i tempi di riposo che fanno osservare al loro corpo e per il regime alimentare che seguono con attenzione".