intervista
Bruno Pizzul: "La mia Italia s'è persa"
Una voce ed il pallone. Bruno Pizzul, ex calciatore, giornalista e telecronista Rai di partite (anche) memorabili, è il Carmelo Bene del calcio. Le parole raccontano lo spettacolo che vedono e un po’ lo fanno con la voce, lo spettacolo. Tra emozioni e gol, fatti e mancati che siano. Noi de «Il Tempo» lo abbiamo intervistato, non solo sul gioco sui due piedi e sullo sport ma sull’Italia di oggi. Pizzul, che idea ha dell’Italia di oggi? «Siamo in un momento dove francamente mi pare ci sia una scarsa fiducia da parte dell’opinione pubblica in quella che è la situazione economica e politica. Una scarsissima fiducia della gente, degli italiani, nei politici ed un senso di precarietà per quella che è la nostra nazione. Dovuto forse al fatto che ci rendiamo conto, in maniera più o meno consapevole, che contiamo poco nello scacchiere internazionale». Alcuni giorni fa il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha conferito trentadue onorificenze al merito della Repubblica Italiana a cittadine e cittadini che si sono distinti per atti di eroismo, nella solidarietà e nella cooperazione. In Italia abbiamo bisogno di eroi normali? «Già il concetto di eroismo e di normalità è difficilmente abbinabile però abbiamo bisogno di persone che ci aiutino a capire il senso di solidarietà oggi, a livello di vita normale. Sì, credo sia un patrimonio di cui abbiamo bisogno. Ci servono esempi positivi, e il presidente Sergio Mattarella nel suo intervento è stato molto efficace». Nello sport esistono ancora gli eroi? Pensiamo ai tempi di Coppi e Bartali, per esempio: tutto finito? «È molto meno plausibile oggi individuare nello sportivo la figura dell’eroe anche perché un tempo lo si caratterizzava per la sua appartenenza ad una squadra, nel caso dei calciatori, o ad un determinato momento storico e politico. Oggi se non altro per il fatto che sono sempre più rari gli sportivi che restano legati alla propria squadra di appartenenza, non ci sono più i giocatori bandiera. Per quanto riguarda poi il momento storico-politico e sociale in cui sono fiorite figure come quelle di Coppi e Bartali, il tutto si innestava in un contesto particolare: nell’immediato secondo dopoguerra l’Italia usciva da una situazione davvero molto difficile e trovava alcuni eroi in figure dello sport, eroi - perché in questo caso si può sottolineare questo termine - che hanno rivalutato l’intero Paese. La stessa nazionale di calcio ha cominciato ad essere accettata dalle altre nazioni che hanno giocato partite amichevoli con noi e via di seguito. E quindi attraverso lo sport si è identificata anche una appartenenza nazionale. Ricordo le vittorie dei nostri atleti alle Olimpiadi di Londra, il discobolo Adolfo Consolini ad esempio, nell’immediato dopoguerra. In quei momenti attraverso lo sport si individuavano personaggi che aiutavano anche il senso di appartenenza nazionale e di orgoglio». Per approfondire leggi anche: BRUNO PIZZUL SI SFOGA CONTRO IL CALCIO MODERNO E adesso? «Oggigiorno è molto più difficile anche perché si sono venute affermando in maniera esagerata quelle che sono le componenti di carattere mercantile: il troppo denaro che sta circolando in ambito sportivo professionistico, soprattutto nel calcio dalle nostre parti, ha finito per snaturare anche l’organizzazione calcistica delle varie società». Non sarà che anche nello sport italiano si rispecchia il declino della nostra società e del Belpaese incapace ormai di vincere come una volta? «In ambito sportivo e calcistico si riflette un po’ quello che è l’orientamento direi della gente comune che sembra aver perso l’entusiasmo del senso di appartenenza al proprio paese. Qualche rigurgito di tifo becero magari c’è ma non rappresenta lo spirito con cui l’intero paese, a livello popolare, si avvicina al mondo sportivo. Si è perso questo gusto di far vedere attraverso lo sport quella che è la forza del nostro paese. Quando ci capita, ormai raramente, di cogliere allori in campo internazionale ci sono sì alcuni momenti in cui questo entusiasmo popolare riaffiora, questo orgoglio. Ma...». Ma? «Io che sono un vecchio alpino sono rimasto colpito dal fatto che recentemente, quando c’è stato il raduno degli alpini a Milano, si sono viste poche bandiere tricolori esposte e questo è un chiaro segnale che stiamo perdendo l’orgoglio del senso di appartenenza nazionale». Chi è il più grande calciatore di tutti i tempi? «C’è una bella lotta tra Pelé e Maradona. Sono due calciatori completamente diversi anche perché a mio modo di vedere il calciatore deve essere anche un’atleta e Maradona è assolutamente fuori schema, non aveva neppure un fisico statuario e però proprio per quello faceva cose che hanno avuto del miracoloso. Purtroppo poi il ragazzo non è stato altrettanto lodevole sul piano comportamentale e direi che comunque uno va valutato per quello che ha fatto in campo, in ambito sportivo, ma per avere una immagine positiva serve anche il comportamento al di fuori dell’ambito sportivo». Ed il più grande calciatore italiano? «Io pur avendo un numero di anni che pesano sul groppone non ho mai visto giocare Meazza: quelli che lo hanno visto giocare mi dicono che nessuno è stato bravo come lui. È chiaro però che si trattava di un calcio completamente diverso. In ambito più vicino a noi sono molti i giocatori italiani, è sempre difficile fare graduatorie, però sicuramente per l’impatto che ha avuto sulla fantasia, sulla memoria degli sportivi e direi anche nei tifosi, Roberto Baggio ha lasciato una traccia profonda. È uno di quei pochi giocatori che viene ricordato e amato da tutti al di sopra di quella che è la sua appartenenza». Cosa augura allo sport e agli italiani per il 2020? «In ambito sportivo l’augurio più ovvio è qualche grande vittoria. Io augurerei però all’intero movimento sportivo, non solo quello calcistico, di ritrovare lo spirito originario dell’aggregazione sportiva, l’entusiasmo della partecipazione, il piacere di giocare assieme ad altri. E per quello che è il contorno, quelli che lo sport lo seguono, mi auguro che si perda a livello di tifoserie il gusto ormai esasperato del tifo. Non è possibile che il clima negli stadi sia caratterizzato da un pessimo modo di comportarsi». Ed agli italiani? «In maniera ancora più efficace serve un augurio di questo tipo per quel che riguarda la convivenza sociale e civile. Lo sport, in fondo, è una cartina di tornasole».