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Sinisa Mihajlovic, un coraggio da leone: malattia bastarda, sono ancora qua

Davide Di Santo
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Sinisa Mihajlovic in una commovente conferenza stampa ha parlato degli ultimi quattro mesi della sua vita, caratterizzati dalla  lotta alla leucemia con il calcio, amore di una vita, a rappresentare la "vita normale" a cui il tecnico del Bologna - e con lui tutto il movimento del calcio - sta cercando di tornare presto. A Casteldebole Mihajlovic ha commosso e si è commosso rivolgendosi e ai figli ma anche a tutti quanti in questi mesi gli hanno fatto sentire la propria vicinanza, da Matteo Salvini a Matteo Renzi, da Eros Ramazzotti ai bambini che gli hanno mandato disegni. Ha parlato anche del rapporto con Roberto Mancini con il quale non si sentiva da tre-quattro anni ma che è stato uno dei primi a chiamarlo e ad andarlo a trovare, riannodando l'antico legame di amicizia. Al suo fianco il direttore dell'Istituto Seragnoli dell'Ospedale Sant'Orsola nel quale è stato curato, Michele Cavo, e la dottoressa Bonifazi, che ha eseguito il trapianto di midollo, e l'amministratore delegato del Bologna, Claudio Fenucci. A sorpresa è arrivata a salutare il mister tutta la squadra: «Dire che ci sei mancato è poco - ha detto il capitano Blerim Dzemaili a nome di tutti - sappiamo che non sei tanto contento di noi ma faremo di tutto per farti cambiare idea. Grazie di essere tornato». «Non ho più lacrime» ha detto Mihajlovic, «il mondo del calcio mi ha voluto bene». Poi ha pianto parlando della moglie e del trapianto di midollo per salvarlo. «Non mi sono mai sentito un eroe. Dico a chi è malato come me di non perdere la voglia di vivere. È una malattia bastarda. Ma vorrei usare una frase di Vasco Rossi: io sono ancora qua. Nella vita precedente la pazienza non era il mio forte, ora sono cambiato».

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