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Venticinque anni senza Ayrton

Il primo maggio del 1994 moriva sul circuito di Imola il brasiliano Senna. È stato uno dei piloti più forti di sempre lasciando un segno indelebile

Tiziano Carmellini
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«È gravissimo, è gravissimo!». Il labiale dell'inviato Rai Ezio Zermiani fu chiaro, netto, senza possibilità di interpretazioni. Nel silenzio assoluto di un collegamento d'altri tempi si cercava di capire cosa fosse successo al fenomeno, al più forte di tutti, all'uomo che con la sua personalità aveva monopolizzato il mondo della Formula Uno. Quel «dritto» inspiegabile su una curva percorsa altre mille volte, era stato così innaturale da non far pensare al dramma nonostante lo schianto terribile, quasi frontale, che fece rimbalzare la monoposto come una pallina in un flipper infernale. Con l'incidente del povero austriaco Roland Ratzenberger, morto sempre lì il giorno prima, che sembrava già lontano anni luce. Ma tornò tutto assieme, come il botto clamoroso che fermò il talento brasiliano sul guardrail. Ayrton era lì dentro, nell'abitacolo della sua Williams che era stato costretto a «strapazzare», a portare oltre il possibile, perché aveva alle spalle quell'altro fenomeno che premeva, smaniava: l'astro nascente del momento. Quel Michael Schumacher che se non prese poi il suo posto nell'immaginario collettivo, fece comunque da degna staffetta nel portare la fiaccola del talento fin sotto il tripode della gloria. Ma è un'altra storia e pure questa non è finita benissimo. Lì dentro c'era Senna, con il mondo fuori a domandarsi cosa fosse successo. Perché il «fenomeno» non si muoveva più e dopo il labiale di un signore oggi ormai quasi ottantenne e che all'epoca fu un grado di «stare sul pezzo» tra la disperazione generale e gente che piangeva da tutte le parti, fu subito chiaro che tutto sarebbe cambiato da lì in avanti. La tv non era ancora così invasiva, non riusciva ancora a cogliere l'attimo, spaccare il centimetro come fa oggi, costringendo gli attuali protagonisti a coprirsi la bocca per non rivelare le proprie sensazioni. Era più grezza, spartana come la sicurezza di monoposto d'altri tempi. Una lunga causa giudiziaria alla fine stabilì che si trattò della rottura del piantone dello sterzo: una saldatura non fatta a dovere. Ma la cosa a quel punto interessò solo le orde di avvocati che si accapigliarono per anni in una querelle giudiziaria fatta di accuse, scarichi di responsabilità e milioni «pacificatori» finali. Alla gente interessava solo che Ayrton Senna non c'era più e tutto quello che è successo nei venticinque anni successivi sta lì a dimostrare quanto fosse forte e amato questo campione triste. Qualcuno disse che nel suo sguardo c'era la premonizione del destino, ma da quel punto in poi si è potuto dire di tutto e di più. Resta la classe cristallina di un campione che ha saputo infiammare le platee di tutto il mondo e fare appassionare a questo sport a tratti noioso, anche gente che non ne aveva mai sentito parlare. Perché quando c'era lui in pista poteva davvero succedere qualsiasi cosa e resta a tutt'oggi l'unico campione del mondo morto durante una gara di Formula Uno. Il destino aveva scelto questo per lui dopo sessantacinque pole position conquistate, tre mondiali vinti con la McLaren e un ultimo tentativo con una Williams meno competitiva a causa della modifica del regolamento che escludeva tutti gli «aiuti» elettronici. Non ebbe tempo per farlo, ma agli appassionati di Formula Uno è bastato anche quello che aveva fatto fin lì consacrandolo il più forte di sempre. Discorso generazionale? Forse, e questo riapre vecchi dibattiti che rimbalzano dal calcio e arrivano fin sotto le quattro ruote da corsa: quelle nelle quali Senna era davvero il numero uno. Almeno per noi!

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