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Cavalli a Roma punta i riflettori sul meglio delle razze equine
Riflettori sui cavalli. Li accenderà "Cavalli a Roma" ospitata dal 15 al 17 febbraio alla Fiera di Roma. Un padiglione sarà dedicato allo slowlife. Rispetto a molti altri paesi europei, l’Italia conserva ancora un numero notevole di razze e popolazioni autoctone, molte delle quali riconosciute e protette dalla FAO. La necessità di promuovere, tutelare e valorizzare le bio-diversità equine ancora presenti nel nostro territorio, ha molteplici ragioni. Prima tra tutte l'esigenza di preservare un patrimonio genetico, che è espressione di una selezione naturale e ha quindi in sé un valore intrinseco dal punto di vista biologico. Si tratta di una selezione avvenuta in modo spontaneo, in quanto prodotto di un adattamento del cavallo al territorio che nessuna sperimentazione umana, per quanto avanzata potrà mai riprodurre. E' noto come la storia e la cultura del nostro paese siano il prodotto di un lungo e complesso processo, nel quale popoli i più diversi e più distanti nel tempo e nello spazio (dai Greci ai Romani, dagli Unni ai Longobardi, ai Bretoni; dagli Arabi, ai Normanni; dagli Spagnoli agli Austriaci, ai Tedeschi) hanno riversato costumi, valori e tradizioni. In tale complessità il Cavallo ha sempre mantenuto un proprio originale ruolo, spesso decisivo. Parlare, dunque, delle razze autoctone vuol dire, in altre parole, inoltrarsi nella nostra storia, nella nostra civiltà, nel nostro ambiente geografico. Tutti i popoli che hanno calcato le pianure e le colline della nostra penisola, che ne hanno risalito i fiumi, che hanno sentito i morsi del gelo sulle montagne hanno lasciato la propria orma equestre impressa sui nostri cavalli. Le razze che abbiamo conosciuto e allevato per secoli sono il prodotto di un crocevia di incontri culturali e esigenze ambientali che necessitavano di cavalli equilibrati, resistenti e frugali. In Italia il fenomeno della relazione uomo, cavallo, asino o mulo ha riguardato, fino alla prima metà del 1900 tutte le regioni, in maniera diversa ma con la stessa intensità. In alcuni casi, come il Piemonte, le aree alpine e le Venezie, sono stati gli usi bellici e i fasti della cavalleria a legare principalmente uomini, cavalli e muli. Altrove, la convivenza è stata indotta dall'impiego nei lavori in agricoltura ed è, questo, il caso di tutto il territorio appenninico, dalla Sicilia alla Liguria, alla Sardegna. In tutte le zone di pianura, erano sviluppate le pratiche legate al trasporto su carri e carrozze, e non si può dimenticare il ruolo della cavalcatura per il controllo del bestiame nelle aree adatte all'allevamento brado, in particolare quelle del Lazio e della Toscana. Le tracce di questa enorme ricchezza di tradizioni e di popoli sono tutt’ora vive e operanti sul territorio: dimostrazione “ante litteram” della capacità di integrare, assorbire e elaborare contributi ed esperienze diversificate all’interno di un habitat comune. Parlare delle razze equine italiane, non vuol dire però riferirsi a delle “reliquie storiche viventi”. Preservati dalla passione di tanti allevatori, questi cavalli proprio per le caratteristiche di rusticità che li contraddistinguono, possono essere allevati in un regime semibrado, il che li rende primi attori nell’ambito di uno sviluppo agricolo sostenibile legato al rispetto dell’ambiente, al potenziamento della politica di sviluppo rurale, al benessere animale e ai prodotti di qualità. Inoltre la selezione millenaria alla quale sono stati sottoposti li ha dotati di un carattere così equilibrato da farne ottimi soggetti per il turismo equestre. Ciò di cui però gli allevatori, peraltro custodi veri di questo patrimonio di razze così eterogenee tra loro, hanno urgente bisogno è che questo patrimonio si trasformi in qualche modo, e in tempi abbastanza rapidi attraverso un circuito sostenibile. Infatti, se da un lato indubbia è la passione che anima i protagonisti di questo particolare settore, sempre attenti alle indicazioni di selezione, e che di sicuro proprio grazie all'allevamento svolgono un ruolo fondamentale nella salvaguardia dei territori attraverso l'utilizzo dei pascoli, limitando come tutti sappiamo tutti i danni derivanti dal pericolo di incendi e di dissesto idrogeologico, che generalmente seguono l'abbandono delle aree montane; dall'altro bisogna prender atto che è solo attraverso una reale impostazione culturale e un'opportuna valorizzazione in chiave moderna che tutto ciò si spera possa trasformarsi in reale valore aggiunto e magari trovare giusta gratificazione in nuovi canali per la promozione e la vendita dei propri capi.