scenata imbarazzante
Serena perde e accusa: "Sessismo". Se il boldrinismo sbarca nel tennis
È stata una giornata storta per Serena Williams, capita anche ai migliori. Ma lei l’ha trasformata in una «battaglia per le donne». Sarà anche la più grande tennista di sempre ma ieri agli Us Open la Williams ha perso la testa, oltre che la finale che l’avrebbe portata a raggiungere il record di vittorie in tornei major detenuto da Margaret Smith Court (24 Slam tra 1960 e 1973). Serena si è arresa, dopo una partita deludente (per lei), alla ventenne Naomi Osaka (6-2/6-4 il punteggio). Si sarebbe dovuto parlare dello splendido match della giapponese (ottimi colpi e nervi d’acciaio), della sua maturità e del destino di una atleta - fisicamente ha sovrastato l’americana - che adesso è 7 del mondo (ma già 4 nella «Race» che la porterà a giocare il Master di fine anno). Si sarebbe dovuto ricordare con un sorriso che quattro anni fa - quando aveva 16 anni - la Osaka chiese alla Williams di fare un selfie proprio agli Us Open. Avremmo dovuto parlare di queste cose e invece la «notizia» dello Slam newyorkese è diventata il «coaching»: i suggerimenti che tutti gli allenatori danno ai loro tennisti dalle tribune (è vietato nei tornei maschili e nei più importanti femminili). Proprio il coaching del suo allenatore, Patrick Mouratoglou, ha portato l’abitro portoghese Carlos Ramos a dare un «warning» a Serena, che non l’ha presa bene: «Non ti permetto di darmi dell’imbrogliona, io rispetto le regole, devi chiedermi scusa», ha ripetuto più volte la tennista. Poco dopo ha spaccato la racchetta e ha avuto un’altra penalizzazione (un punto). Infine, dopo aver portato a casa lo stesso il game (era 3-4 per la Osaka nel secondo set), ha ripreso lo scontro con il giudice di sedia. «Non ho mai rubato in vita mia, sono una mamma, ho una bambina e tu mi derubi. Ogni volta è la stessa storia. Lo fai perché sono una donna? Devi chiedermi scusa!». E lo ha accusato: «Sei un ladro!» (riferendosi al quindici che gli aveva tolto). A quel punto Ramos (uno degli arbitri più rigorosi del circuito) ha sanzionato la Williams con un «verbal abuse», regalando alla Osaka un game (dunque portandola in vantaggio 5-3). E qui Serena non ci ha visto più, ha discusso con il supervisor del torneo e ribadito le sue ragioni: «Ho faticato tanto per essere qui - ha detto la Williams, che non ha giocato per più di un anno per via della maternità - Non potete trattarmi così». Poi ha vinto il game successivo ma la Osaka ha chiuso il set con un 6-4. Ha conquistato 3,8 milioni di dollari ma la festa per Naomi era ormai rovinata (tanto che alla premiazione ha detto solo un paio di frasi con una faccia che sembrava che avesse perso nelle qualificazioni - ha pure ringraziato Serena per aver giocato con lei, incredibile ma vero!). Giusto per la cronaca, l’arbitro è sparito dalla cerimonia (di solito viene premiato ma il pubblico, tutto a favore di Serena, non l’avrebbe sopportato). Nella conferenza stampa seguente la ex numero 1 del mondo ha accusato l’arbitro, ha parlato di «gesto sessista» e ha garantito che si batterà per i diritti delle donne. E qui è andata fuori strada. Perché se è vero che sul campo da tennis soprattutto gli uomini si permettono insulti e gesti che spesso non vengono puniti, Ramos ha dimostrato di non avere alcuna sudditanza psicologica e di trattare Serena come gli altri. Nessun sessismo. Ha applicato il regolamento. Anche se poteva farlo con meno severità. Ma questo è un altro discorso, che non c’entra niente con il maschilismo o la «battaglia per le donne». Si sa, la misura è merce rara in quest’epoca. Si va sempre da un estremo a un altro. Non è un caso che in questi Open americani si sia discusso anche dell’arbitro Mohamed Lahyani, sceso addirittura dal trespolo per incoraggiare uno spento Nick Kyrgios (che alla fine ha vinto la partita contro il francese Herbert): «Ti voglio aiutare. Ti conosco, sei bravo a giocare a tennis», gli ha detto. In questo caso è stato il giudice di sedia a fare «coaching». E a riaprire il dibattito. Di sicuro quest’anno lo