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"Anna Frank? Non so chi sia". Gli ultrà fra ignoranza e sfottò

I pm sugli adesivi in Curva alle prese col dilemma: ci sono o ci fanno

Valeria Di Corrado
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Inescusabile ignoranza o sfrontata presa in giro? È questo il dilemma che devono risolvere i magistrati della Procura di Roma, dopo aver sentito le assurde giustificazioni date da 6 dei 14 tifosi laziali accusati di incitamento all'odio razziale, per aver affisso lo scorso 22 ottobre all'interno della curva sud dello stadio Olimpico, in occasione della partita Lazio-Cagliari, diversi adesivi riportanti l'effige di Anna Frank con indosso la maglia giallo-rossa. «Pensavo fosse la figlia di Fantozzi, Mariangela. Non sapevo si trattasse di un'ebrea deportata», si è giustificato uno degli ultras laziali. Una risposta da lasciare basiti. Tanto che, dopo un'iniziale momento di sbigottimento, le urla del pm che stava conducendo l'interrogatorio sono rimbombate nei corridoi del palazzo di giustizia: «Ma lei sta scherzando?». Come si fa, infatti, a confondere il viso di una bambina morta nel 1945 nel campo di concentramento di Bergen-Belsen, divenuta in tutto il mondo un simbolo della Shoah per il suo straziante diario della prigionia, con il personaggio cinematografico interpretato a partire dal '75 da un uomo travestito da ragazzina nella saga comica di Fantozzi? Appare quasi blasfemo accostare le due immagini. Per questo la spiegazione data al magistrato da uno dei tifosi biancocelesti ha tutto il sapore di una provocazione, sfacciata e irriverente. E se per assurdo tale spiegazione fosse vera, dimostrerebbe che i giovani italiani concludono il loro percorso scolastico portandosi dietro lacune culturali e storiche incolmabili: il diario di Anna Frank, infatti, si studia sin dalle medie. Insomma, sul piano morale è difficile scegliere quale sia il male minore: tra l'ignoranza e la beffa. Sul piano processuale, invece, per il procuratore aggiunto Francesco Caporale è fondamentale capire se tutti i 14 ultras indagati (tra i 17 e i 53 anni) abbiano consapevolmente utilizzato il viso della bambina ebrea vittima dell'Olocausto per dileggiare i loro avversari resuscitando l'antisemitismo. Quel fotomontaggio, secondo l'accusa, aveva un «intento chiaramente denigratorio e di scherno». Anche perché era accompagnato da altre scritte: «Romanista ebreo» e «Romanista Aronne Piperno», con riferimento al celebre personaggio di origine ebraiche presente nel film «Il marchese del Grillo». Per questo la Procura ha notificato l'avviso di conclusione delle indagini preliminari ai 14 tifosi (tra cui alcuni appartenenti al gruppo di estrema destra degli «Irriducibili») ripresi dalla telecamere dello stadio mentre attaccavano gli adesivi. Prima però che venisse formulata la richiesta di rinvio a giudizio per incitamento all'odio razziale, alcuni hanno voluto farsi interrogare, sperando in un'archiviazione. E da lì sono venute fuori queste bizzarre giustificazioni. Oltre al presunto scambio di persona Anna Frank-Mariangela Fantozzi, un altro tifoso ha sostenuto di non sapere chi fosse la prima: «Pensavo fosse una bambina comune». Anche questa tesi non sta in piedi. Che senso avrebbe, infatti, usare il viso di una bambina per prendere in giro i propri rivali? Come diceva Martin Luther King, paladino della lotta contro i pregiudizi etnici: «Nulla al mondo è più pericoloso che un'ignoranza sincera ed una stupidità coscienziosa».

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