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"Coach" Alex Schwazer attacca Il Tempo Risponda alle nostre otto domande

Davide Di Santo e Giada Oricchio
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Abbiamo colto nel segno. L'articolo pubblicato da Il Tempo, «Il giallo di "coach" Schwazer», ha provocato la reazione del marciatore altoatesino, appena lanciatosi nell'attività di allenatore. Una replica al vetriolo che non cita direttamente il nostro articolo ma conferma nel merito quanto abbiamo scritto. Ovvero che, in virtù della squalifica di otto anni per doping, Schwazer può allenare solo atleti non tesserati ma, rispondendo alle nostre richieste di collaborazione, ha dato la sua disponibilità a seguire a distanza un atleta tesserato con la Federciclismo, tra l'altro indicando anche il listino prezzi delle tabelle di allenamento. Il titolo del post apparso ieri sul blog Schwazer-Coaching è indicativa dell'umore dell'autore: «Quando la passione è più grande delle minacce». «Appena ho manifestato il mio desiderio di lavorare come allenatore (...) per reimpiegare almeno un poco di tutto ciò che mi è stato tolto con un atto vile, l'attesa reazione non si è fatta attendere più di tanto. Subdola, minacciosa, un chiaro segnale di volontà caparbia di eliminarmi dallo sport». Cosa ci fosse di subdolo e minaccioso nel nostro pezzo, è un mistero. Tanto che il marciatore conferma quello che abbiamo scritto: «In questa situazione è mio dovere precisare che nessuno può obbiettarmi di seguire l'allenamento di non tesserati, mentre i tesserati devono sapere che rischierebbero di andare incontro ad una squalifica». Un bel rischio, tanto che Schwazer chiede scusa: «Cosi è al momento e tutti coloro che con fiducia ed entusiasmo si sono rivolti a me debbono scusarmi e capire la situazione in cui determinati soggetti mi hanno fatto precipitare togliendomi dalla scena come atleta». Conclude con un pensiero non molto chiaro, che comunque riportiamo: «In Italia è tutelato il diritto al lavoro, ma non ho considerato che valgono di più le regole sportive ... e di questo sono stato avvertito pubblicamente...». In serata, poi, Schwazer ci invia un messaggio relativo a una delle email che gli abbiamo mandato: «Se avete un minimo di buon senso pubblicate anche quello che ho scritto alla richiesta di allenare il suo (presunto) bambino... altrimenti la farò io in una conferenza stampa a Roma questo mese che si farà per parlare di un'altra cosa». Certo, lo facciamo: lei si è rifiutato perché «il bambino impara giocando». Aspettiamo che lei, magari proprio nella conferenza stampa che ha annunciato, risponda a queste nostre domande. 1. Lei si propone come allenatore di atleti amatoriali, ed è un suo diritto. Allora perché alla nostra precisa richiesta ha dato la sua disponibilità a seguire un atleta tesserato? 2. Lei conferma che «i tesserati devono sapere che rischierebbero di andare incontro ad una squalifica» allenandosi con lei. Non sarebbe stato opportuno spiegarlo prima? 3. Visto che conosce le possibili conseguenze, perché mette volontariamente a rischio la carriera sportiva di chi in buona fede vorrebbe allenarsi con il proprio idolo? 4. Quanti atleti tesserati sono attualmente allenati da lei, di persona o a distanza? 5. Li ha avvertiti esplicitamente dei possibili rischi ai quali si espongono? 6. Con il suo post conferma quanto scritto da Il Tempo ieri. Allora perché parla di reazione «subdola, minacciosa, un chiaro segnale di volontà caparbia di eliminarmi dallo sport»? 7. Anche la stampa, che peraltro ha sottolineato tutti i punti oscuri della sua estromissione ai Giochi di Rio, farebbe parte del «complotto» denunciato da lei e dal suo tecnico Sandro Donati? 8. Lei scrive che «in Italia è tutelato il diritto al lavoro, ma non ho considerato che valgono di più le regole sportive». Cosa intende, che lei è al di sopra dell'ordinamento sportivo?

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