In missione per conto di Dio Atleti di Cristo
Nel mondo dello sport travolto dagli scandali, dal doping e dal razzismo manovra un esercito silenzioso. Si muove sotto traccia, con discrezione, dagli stadi di Serie A ai campetti di periferia, dal calcio che conta alla galassia degli sport minori. Sono gli Atleti di Cristo, il «ministero» - così è chiamato - nato in Brasile negli anni ’80 con l’obiettivo di diffondere il Vangelo in uno degli ambiti umani che più spesso trascende a valvola di sfogo e motivo di divisione. Il giorno di Pasqua, il 20 aprile, la cellula italiana si incontrerà a Milano per il raduno annuale, quest’anno impreziosito dalla ricorrenza del trentennale dalla fondazione degli Atletas de Cristo in Brasile, nel 1984. Oggi il simbolo degli sportivi «illuminati» dalla Fede è Ricardo Izecson dos Santos Leite, noto come Kaká. Il campione brasiliano non manca di rimarcare il suo essere cristiano ma in realtà non è organico al movimento. Stesso discorso per il Profeta, il brasiliano della Lazio Anderson Hernanes. I «soldati» dell’esercito di Cristo italiani sono altri, una cinquantina di atleti capitanati da Nicola Legrottaglie, difensore del Catania, già calciatore della Nazionale e della Juventus. I nomi sono noti, anche se non ci sono superstar. Operai del calcio e della vigna del Signore come Davide Dionigi, Ciro Capuano, Elvis Abbruscato, Gaetano D’Agostino, Gabriel, Ilyas Zeytulaev, Nené Anderson, Ze Maria Ferreira. Non solo uomini, nella lista figurano tra le altre la cestista Jessica Leão e l’azzurra di beach volley Laura Giombini. Una lobby, una setta, una chiesa alternativa. Cosa sono gli Atleti di Cristo? «Niente di tutto questo - spiega Sergio Di Lullo, tra gli organizzatori - Si tratta di un movimento interdenominazionale nato nell’ambito evangelico. Il requisito fondamentale è condividere la centralità della figura di Gesù, a prescindere se uno è cattolico, evangelico ecc. E che non si cerchi di seminare zizzania tra gli aderenti». Il «reclutamento» avviene sui campi mentre l’organizzazione poggia le basi sulle cosiddette cellule: Ascoli, Salerno, Catania - forse la comunità più folta, anche grazie all’attività di Legrottaglie - Roma, Milano, Perugia, Piacenza, Pisa, Verona, Mantova e Vicenza. Ogni cellula ha un capo e un sistema informale di autovalutazione: chi non dimostra di mettere in pratica nella vita la «Parola» viene allontanato. Nonostante l’organizzazione divisa in ambiti territoriali Atleti di Cristo è un movimento liquido: al momento non ha neanche una forma giuridica. Il sito ( atletidicristo.org ) è curato da una decina di volontari. In Brasile, dove gli aderenti sono migliaia, è possibile anche acquistare gadget e fare donazioni. In Italia a riguardo c’è diversità di vedute, ma è possibile che nei prossimi mesi venga creata un’associazione no profit. Nel frattempo l’opera di evangelizzazione continua sui campi e nei palazzetti, «anche per contrastare gli scandali nello sport, per rimettere al centro il bene comune e l’insegnamento del Signore», commenta ancora Di Tullio, autore de Il podio più alto , una sorta di manuale dello sportivo spirituale. E il «contagio» continua, anche grazie a leggende del rango di Michael Chang, Taffarel, George Foreman, le stelle latine della Major League di baseball, l’italiano Carlton Myers, le star Nba David Robinson e Dwight Howard, il mito immortale di Ayrton Senna, la tennista Mary Joe Fernandez, l’olimpionica Usa Allyson Felix e il campione Nfl Aaron Rodgers. Il dream team degli Atleti di Cristo.