Fuentes: «Mai fatto male ai miei pazienti»
Si chiude il processo «Operacion Puerto» con le parole del dottore, principale indagato. Attesa per la sentenza
Due mesi di udienze, sipario e attesa per la sentenza. Il processo Operacion Puerto, cominciato il 28 gennaio, arriva all'epilogo con le parole del principale imputato, il controverso medico Eufemiano Fuentes. «Non ho mai pregiudicato la salute dei miei pazienti, l'ho sempre tutelata», ha detto il dottore, considerato il perno di una rete di doping internazionale associata soprattutto al ciclismo. Fuentes è imputato con la sorella Yolanda e con gli ex direttori sportivi Manolo Saiz, Vicente Belda e Ignacio Labarta. I cinque sono accusati di delitti contro la salute. Quando lo scandalo venne a galla, nel 2006, la legge spagnola non prevedeva il reato di doping. Il pubblico ministero Rosa Calero ha chiesto 2 anni di reclusione per Fuentes, l'unico imputato oggi a rivolgersi alla corte presieduta dal giudice Julia Patricia Santamaria che emetterà il verdetto nelle prossime settimane. «Non mi intendo di diritto e non sono un avvocato, ma posso assicurare che in 35 anni di esercizio della professione non ho mai pregiudicato la salute dei miei. Non sono mai venuto a conoscenza di danni prodotti dai miei trattamenti e non ci sono mai state proteste», ha detto il principale dei 5 imputati rivolgendosi alla corte presieduta dal giudice Julia Patricia Santamaria e facendo virtualmente calare il sipario sulla fase dibattimentale cominciata più di 2 mesi fa. «In questo processo, nel quale sono stati discussi fatti accaduti negli ultimi 10 anni, non mi risulta che si sia presentato un singolo paziente in grado di dimostrare danni provocati dai miei trattamenti -ha aggiunto-. Come medico, voglio tutelare la salute e non danneggiarla. Ora devo dar retta al mio avvocato, che mi chiede di non dire altro». La sentenza potrebbe aprire nuovi scenari se il magistrato decidesse di fornire alle autorità antidoping le oltre 200 sacche di sangue sequestrate dalla Guardia Civil. I contenitori, conservati in un laboratorio di Barcellona, sono il vero fulcro dell'intera inchiesta e dell'attività che Fuentes ha condotto per anni con l'ematologo Josè Luis Merino Batres, esentato dal processo perchè malato di Alzheimer. I nomi di alcuni pazienti-clienti sono stati identificati grazie a codici e soprannomi abbinati ai campioni ematici. Altri, tanti altri, sono rimasti nell'ombra. Solo le analisi sul Dna potrebbero far luce sul coinvolgimento, per ora solo presunto, di altri atleti di primo piano. Questo è l'obiettivo a cui puntano l'agenzia mondiale antidoping (Wada), l'Unione ciclistica internazionale (Uci) e anche il Coni. «I rappresentanti dell'accusa hanno usato marketing, demagogia e verità parziali per convincerla a saltare un muro che è impossibile scavalcare», ha detto Ignacio Arsuaga, legale di Yolanda Fuentes, rivolgendosi al giudice. «Le chiedono di ripulire lo sport con un inganno -ha aggiunto-. E a darle questa responsabilità non è solo l'accusa, ma anche i mezzi di comunicazione». L'inchiesta, nel corso degli anni, è stata archiviata e riaperta due volte. La Spagna è finita nel mirino per l'assenza di una vera legge antidoping, entrata in vigore solo dopo l'esplosione dello scandalo. Ora, mentre Madrid ritenta l'avventura olimpica e punta ai Giochi del 2020, secondo i legali degli imputati sono evidenti le pressioni di chi vuole una sentenza esemplare. In questo contesto, nei due mesi di processo Fuentes si è mosso con ambiguità. Ha prospettato l'ipotesi di fornire la lista dei propri clienti se costretto, sapendo però che la richiesta del magistrato non sarebbe arrivata. Ha alimentato sospetti vaghi, parlando in maniera generica di pazienti «calciatori, tennisti o pugili». Ha anche fatto il nome del Real Madrid, per un presunto debito non onorato dal club, commettendo una sorta di sacrilegio sportivo e poi negando, con rapida marcia indietro, di aver prestato i propri servizi alla società. Tra esperti e investigatori, sono stati chiamati a deporre anche 10 ciclisti. Solo 3 hanno parlato apertamente dell'esperienza «condivisa« con Fuentes: lo spagnolo Jesus Manzano, lo statunitense Tyler Hamilton e il tedesco Joerg Jaksche. «Io -ha ripetuto Fuentes- ho solo tutelato la loro salute».