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Tedeschi sconfitti anche dal «fantasma» di Rivera

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Inarea tedesca, sulla sinistra, il tempo di piazzare quel piattone e fulminare Sepp Maier. È anche grazie al "fantasma" di Rivera se abbiamo di nuovo costretto i tedeschi alla ritirata. Perché l'effetto della Jahrhundertspiel, la Partita del Secolo giocata all'Azteca il 17 giugno di 42 anni fa, continua a produrre effetti luttuosi sulla psiche nibelungica. Non c'è sbornia da Oktoberfest che generi nell'inconscio collettivo germanico un definitivo oblio per quel rovescio al Mundial 1970. Generazione dopo generazione, la paura si infiltra nel Dna dei nipotini di Beckenbauer, e quando si ritrovano davanti le maglie azzurre sanno che finirà in una disfatta. Quella prima volta la presero malissimo, perché per loro, dai visigoti a Bismack a Hitler, è sempre stata una questione di supremazia bellica. Ai quarti in Messico erano riusciti a sconfiggere gli odiati inglesi, quelli che li avevano battuti (con tanto di gol fantasma) nella finale di Wembley del '66, quegli stessi nemici che avevano resistito alle V-1 sganciate sopra Londra. Churchill li aveva decodificati così: «Nessun popolo è più preciso dei tedeschi nella pianificazione, ma nessun popolo può risultare maggiormente sconvolto quando i suoi piani falliscono». Poi arrivarono gli italiani di "Zio" Valcareggi, e figuriamoci se non erano certi di mandare a casa questa genìa di camerieri fan di Mino Reitano, parenti delle facce sporche degli emigranti che avevano cercato un lavoro lassù dopo il "tradimento" badogliano. Quando finì 4-3, dopo una contesa deprecabile a livello tattico, ma formidabile a livello agonistico (Gianni Brera chiosò che "le troiane Porte Scee e la porta di Maier si confondono nel cervello di tutti"), gli ultrà in Germania diedero fuoco alle auto dei nostri connazionali. Anche l'altra sera hanno dato la caccia all'italiano a Berlino, e i commentatori tv hanno apostrofato Balo e Cassano come «cani randagi». I crucchi non hanno mai superato l'"onta" del '70. E si sono ritrovati l'ombra di Rivera a Madrid '82 (era al fianco di Tardelli dopo l'urlo omerico) e a Dortmund 2006 (Gianni era corso a complimentarsi con Grosso per la volèe magica). Quando hanno visto lo spettro dell'ex "abatino" abbracciare la statua nera di Balotelli, i nostri avversari hanno capito. Il paese di Totò, Fantozzi e Sordi aveva vestito una nuova pelle, più scura, per un'immutabile cerimonia.

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